di Luca Maria Milazzo
Le prime parole del mio maestro apicoltore, Marco Valentini, durante il corso di avviamento a quella che oggi è la mia più grande passione, furono “se volete fare gli apicoltori, trovatevi anche altro da fare, perché di sola apicoltura oggi non si vive”. Mi sembrarono parole troppo pessimistiche da dire il primo giorno di un corso davanti a 40 persone vogliose di cominciare a conoscere un mondo nuovo, ma solo adesso dopo molti anni capisco cosa volesse dire Marco con quella frase, e perché fu così importante per noi
ascoltarla proprio in quel momento. In apicoltura naturale si ha il privilegio di osservare quello che la natura farebbe se noi non intervenissimo. Si lascia il più possibile che le cose avvengano seguendo i propri ritmi, che non sono i nostri, e si cerca di trovare una mediazione tra i due.
Nel mondo delle api questo vuol dire innanzi tutto accettare che sono
animali selvatici, e che il loro allevamento è una forzatura che non possiamo non prendere in considerazione quando le mettiamo in un arnia per allevarle. Di contro, oggi, se non esistessero gli apicoltori le api sarebbero una specie in via d’estinzione, come molti altri insetti, a causa del cambio climatico in atto, dell’uso massiccio di diserbanti e della perdita
di biodiversità che l’agricoltura industriale e la produzione di massa inducono. Quindi è necessariamente una mediazione quella che ci dev’essere tra apicoltori e api, un reciproco aiuto in nome del benessere comune. Ma chi sono gli apicoltori? E quali sono le loro pratiche oggi?
In Italia, fino al 2020 non esisteva un’associazione di apicoltori biologici, e
questo la dice lunga sull’approccio di un settore che ha enorme bisogno di forze giovani e creative, che intuiscano l’impellenza di invertire la rotta e assecondare sempre più le esigenze di questi meravigliosi insetti, sacrificando parte dei profitti. C’è bisogno di rinunciare alle grandi quantità di miele, ai trattamenti antibiotici contro i parassiti, al nomadismo sfrenato per la produzione di mieli monoflora che il mercato chiede sempre
più, alla selezione delle razze più prestanti spesso frutto di genetiche modificate in laboratorio. C’è bisogno di tornare a produrre miele di qualità, di allevare le nostre api in luoghi incontaminati dove possano godere di ambienti salubri e varietà di fiori. C’è bisogno di osservare ed imparare da loro, di lavorare insieme.
Quando sono arrivato da Paolo e Sofia mi sembrava un sogno vedere tutta quella varietà di piante e volevo soltanto portare le mie api per farle godere insieme a me di tutta quella meraviglia. Adesso, dopo 3 anni che sono qui e che vivono in simbiosi con tutto questo posso veramente dire che tutto quello di cui hanno bisogno è biodiversità e cura. Nient’altro.
Il miele che preleviamo è solo quello che non serve a loro, facciamo trattamenti biologici e naturali contro i parassiti, pianifichiamo le semine in modo che possano servire a noi ma anche a loro. E le osserviamo volare felici. Loro ci ringraziano impollinando tutto quello che trovano, gli alberi fruttificano, i semi si moltiplicano, gli insetti abbondano e gli uccelli pure. Tutti vincono insieme.
In questi giorni si chiude la stagione 2020, le api sono in letargo e si godono il meritato riposo, i fiori scarseggiano e le ore di luce sono al minimo annuale. E mentre ripercorro le tappe di questa lunga maratona mi tornano in mente le parole di Marco, che nelle lezioni successive spiegò meglio per rassicurarci. Voleva solo dire che, proprio come fanno le api, dobbiamo sempre allenare il nostro livello di resilienza, e sempre meno dipendere da una sola attività ma creare economie diverse che mettano in conto l’imprevisto e ci trovino preparati anche al peggio. Solo così, concludeva, potremo praticare un’apicoltura naturale che non ci costringa a sfruttare le api ma che massimizzi il loro ed il nostro benessere. E specialmente in questo anno così difficile le sue parole risuonano profetiche, perché se
una pandemia globale può rivoluzionare le nostre vite così drasticamente è allora più importante che mai riuscire ad essere resilienti creando alternative e strade nuove, che ci permettano di continuare a viaggiare quando le altre vacillano. Dalla produzione di cibo a casa alla valorizzazione dei legami di vicinato, dall’abbandono dell’automobile alla
riscoperta dell’arte. Scateniamo fantasia e immaginazione, e che la chiusura di quest’anno sia un momento di riflessione su come possiamo assecondare il cambiamento e coglierlo come un’occasione per rinascere dalle nostre ceneri come la fenice.