La pubblicità dedicata alla canapa non fu sempre negativa o controversa, ma fu dichiaratamente rivolta all’economia della casa reclamando le sue innumerevoli qualità; quasi al contrario delle logiche attuali, la canapa era confezionata in maniera tale da poter sfidare i secoli, ma sopratutto erano le persone che a monte della filiera e a partire dai campi, dopo molto lavoro forgiavano fibre e tessuti davvero longevi, come ben riassume una scritta pubblicitaria dell’epoca (e assolutamente veritiera) CANAPA – dura un secolo.
A pag. 4 della rivista CANAPA rivolta al mondo femminile del 1954 si parla della coltivazione della pianta della canapa: l’articolo,che si intitola “Nasce a primavera”, è poesia pura e si apre con una bellissima foto d’epoca nei campi che mostra la sarchiatura della canapa da parte di donne e uomini. Riportiamo il testo:
” Quando la natura si sveglia dal torpore invernale e le primule punteggiano di bianco i prati e le violette appaiono sui cigli dei fossi, è allora che con la primavera nasce la canapa nei campi di Carmagnola, nelle piane del Polesine, nelle distese del Bolognese, del Ferrarese, del Modenese, del Casertano e del Napoletano. Ma dovranno sbocciare le rose e maturare fragole e ciliege, ed albicocche e pesche, e la falce dovrà recidere le spighe d’oro al canto delle cicale e dei grilli: e già l’estate morente dovrà arrossare i chicchi dell’uva nello smeraldo delle vigne perché la canapa superi la statura dell’uomo e sia pronta per il taglio.
Quella stessa moltitudine di uomini e donne che avevano arato, concimato, seminato, sarchiato, diradato piantine è ora di nuovo in moto in un formicolare incessante. La canapa tagliata, in enormi ventagli, è distesa, essiccata e battuta e raccolta in coni; poi su rudimentali tralicci di legno viene tirata e ripulita, legata in “manelle”, che raccolte a fasci e caricate su plaustri vengono trasportate al macero.
Nei piccoli laghi artificiali, dove la canapa viene gettata e affondata con l’ausilio di macigni, l’acqua fermenta e i pesci, privati dell’ossigeno, emergono mentre le rane si ritirano a gracidare sulla riva nell’attesa che la canapa, da verde divenuta bianca per essersi compiutamente macerata, venga dall’uomo riportata all’asciutto ed esposta al sole.
Si vedono allora teorie di grottesche e stecchite gonnelle popolare le campagne dell’ Emilia, del basso Veneto e del Napoletano. E’ la canapa che sarà poi gramolata, accanto alla casa, dalle braccia robuste delle donne e degli uomini con l’ossessionante tam-tam del lavoro di decanapulazione per separare le bacchette dalla fibra. E i frammenti di steli si ammucchiano sotto i piedi di chi gramola mentre i bimbi, assuefatti al fragore e all’odore acre, siedono lieti sugli incomodi tappeti di canàpuli.
Dopo la gramolature le ispide chiome di canapa sono apparecchiate in “chioppe” e disposte a “morelli” nel magazzino. Nuove fasi di lavorazione si preparano: dalla cardatura alla pettinatura artigianale o meccanica, dalla filatura a mano o a macchina alla tessitura con millenari telai e con modernissimi impianti che la tecnica perfeziona di anno in anno. Ed avremo spaghi e corte e tessuti di ogni specie, di incontrastata supremazia perché nessuna fibra possiede tante qualità.
Basti considerare che il terreno dove la pianta della canapa deve crescere sente il bisogno di una elevata quota di fosforo e di considerevoli presenze di altri elementi nutritivi, per comprendere come la natura conferisca a questa fibra quelle virtù di funzionalità e di durata proprie degli oggetti che dalla canapa si ricavano.
Come l’abbondanza del fosforo ed un’alta nutrizione determinano la sanità ed il vigore dell’organismo umano, così gli stessi principii naturali caratterizzano la robustezza e la durevolezza dei filati e dei tessuti di canapa. L’igiene della “costituzione fisica” di questi tessuti non potrà mai essere donata da alcuna scienza alle svariate fibre artificiali, per il semplice fatto che l’uomo, per quanto geniale, non è dotato di virtù tali da imitare la creazione divina.
Giuseppe Fabbri”