Il giardiniere rampante

Libereso Guglielmi (1925-2016)

Il giardiniere rampante

«Mario Calvino, dopo avermi insegnato tutto sulle piante, una volta mi disse: “Un giorno ti piacerà una rosa selvatica”. Era vero.»

Libereso Guglielmi nasce il 20 aprile del 1925, a Bordighera. La madre originaria di Buti, un paese della Toscana, andò a convivere con il compagno Renato, sulle colline della Liguria di Ponente, non lontano da Sanremo e dal confine francese. Senza passare per il matrimonio, i genitori crebbero i figli con i valori della terra e del buonsenso. Il padre anarchico tolstoiano e cagionevole di salute, seguiva una dieta vegetariana, di animo pacifista e laico, rappresentò per Libereso il primo vero maestro della sua vita. Come ci rivela lo stesso Libereso, era uno degli ultimi esperantisti della zona: il nome Libereso infatti in ido-esperanto vuole dire “assolutamente libero di agire e di pensare”, questo nome sarà il suo riferimento per tutta la vita. A cinque anni comincia la scuola, ma sono le avventure dentro e fuori casa che ne formano il carattere curioso e attivo. In aperta campagna, Libereso crebbe fino all’età di 6 anni, per poi trasferirsi, insieme alla famiglia, nel comune di Sanremo. Nel 1931, ha modo di frequentare una scuola presso Isolabona, nella località di campi Gontè. Qui nasce una comunità agricola dedita allo studio della natura e dell’alimentazione, aperta dal professore Fortunato Petaivino: questo ritrovo all’avanguardia, con studi sulla natura, bagni di Sole e alimentazione naturale influirà notevolmente sulla formazione di Libereso. Il padre, durante le lunghe camminate in montagna, gli trasferisce le prime nozioni sulla natura: «Insegnava che la vita si trova semplicemente negli elementi che ci circondano, il sole, l’aria, l’acqua, la terra e che perciò, per vivere sani, bisogna rifarsi a un’alimentazione il più possibile semplice e naturale». Impara presto a riconoscere le erbe e ad utilizzarle, le scorribande sui monti, tra le terre aride e i profumi delle erbe aromatiche, con la sua banda di coetanei, lo mettono in contatto con “Baci di Rebissi”, soprannome dato a un anziano contadino che, coltivando umilmente il suo appezzamento di terra, insegnava con poche parole e molti gesti, i segreti di quel territorio a tutti quei ragazzi che in cerchio lo stavano ad ascoltare. Il padre rileva in comodato d’uso una campagna discreta di circa 4000 m², in località Baragallo, dove con la famiglia, producono verdure per l’autoconsumo e la vendita. Il rigoglioso orto circondato da numerose varietà di fiori, non sfugge all’attenzione di Mario Calvino, assiduo frequentatore di quelle vie. Una mattina mentre si recava alle sue campagne di San Giovanni, per raccogliere verdure e controllare le colture, Mario Calvino chiama il padre di Libereso e senza mezze misure offre due borse di studio del Ministero di Agricoltura utili a impiegare Libereso, e il fratello, presso la vicina Stazione Sperimentale di Sanremo: «Guardate che se loro ci stanno e ci  state anche voi, vi faccio dare una borsa di studio dal Ministero». Così avvenne il 20 aprile del 1940, «Siamo stati i primi borsisti italiani», racconterà Libereso. Ancora adolescente si trova fianco a fianco con il suo secondo maestro di vita. Insieme al fratello Germinal, Libereso comincia a lavorare nei campi di Villa Bel Respiro e al giardino di Villa Meridiana, che era anche la sede della Direzione della Stazione Sperimentale di Sanremo. Diventa subito amico dell’introverso Italo, figlio di Mario ed Eva Calvino, di poco più grande. Il rapporto con Mario Calvino diventa ogni giorno più familiare «Io sono stato per lui un po’ come un figlio, perché i figli se ne fregavano della botanica, io invece la mattina partivo con lui, passavo davanti a casa mia e andavamo su a San Giovanni, quella raccontata da Italo Calvino nel racconto La strada di San Giovanni, una piccola borgata di montagna dove lui, in mezzo agli uliveti, aveva creato un grande giardino, uno dei più bei giardini botanici che esistesse». Ogni giorno passato con il professore è ricco di avventure; delle molte piante nuove introdotte da Calvino a Sanremo, Libereso ne cura la coltivazione e la piantumazione: «Da tutte le parti del mondo arrivavano semi, piante, frutti. Io mangiavo il frutto, perché Calvino mi aveva detto: “Mangiali pure, tanto han tutti gusto di piscio di cane”, e allora magari mi dava la papaia e me la mangiavo tutta, tenendo solo i semi che poi piantavo». Dei suoi viaggi in Messico e a Cuba, il professore ne racconta all’allievo esperienze e vicissitudini, aneddoti e scoperte sulla storia e le virtù delle piante da lui incontrate, e delle quali cura la coltivazione, l’acclimatazione, gli incroci e la selezione: da lui particolarmente amate erano gli avocado (Persea americana) e il pompelmo (Citrus medica). Libereso riconosce la portata della ricerca operata dal professore, e impara in fretta; ha modo di consultare la biblioteca e di studiare, approfondendo i temi botanici e gli aspetti tecnici e storici di queste colture. «Guarda che un buon botanico deve saper disegnare, anzi, un buon giardiniere deve saper disegnare» risponde Calvino all’interesse che Libereso mostra per il disegno. È l’illustratore Antonio Rubino direttore di “Topolino” e collaboratore del “Corriere dei piccoli”, un tipo ruvido, ma dal cuore gentile, a educare Libereso all’arte del disegno, strumento che lo accompagnerà per tutta la vita e da cui emergerà una capacità espressiva semplice e diretta. Libereso ha nel cuore i suoi boschi, che frequenta la mattina presto prima di recarsi al lavoro, dove di ramo in ramo raccoglie legna e pigne per la casa. Poi lo aspetta il suo lavoro-studio, la sua educazione alla botanica è intensa, ogni giorno deve imparare almeno dieci nomi diversi di piante, e ogni anno deve dare un esame sotto il giudizio del professore. La sua cultura cresce in pratica e in teoria, con Calvino conosce anche molti utilizzi delle piante, impara ad estrarre la linfa dell’agave (aquamiel) per ottenerne un dolce sciroppo, e la gomma da un tarasacco selezionato per questo scopo: «Questi erano gli esperimenti che facevo da bambino. Io sono sempre vissuto così: tutte piante nuove, sempre esperimenti; ogni giorno…». Con grande anticipo sui tempi coltiva piante ritenute oggi delle assolute novità: l’Hovenia dulcis, la Casimiroa edulis, la Carica papaya, i kiwi, aromatiche commestibili e soprattutto fiori. Scoppia la guerra, Libereso riesce a sfuggire ai pericoli del conflitto e si rifugia per un anno in montagna, dove sopravvive senza patir la fame grazie alla sua conoscenza delle erbe spontanee e piante commestibili. Gli anni che seguirono il conflitto segnarono la fine di un mondo, ma permisero a Libereso di continuare la sua avventura con Calvino e di progredire nella materia della botanica e del giardinaggio, fino a diventare giardiniere capo della Stazione Sperimentale. Anche Italo, introverso osservatore viene ispirato dalla presenza di Libereso per alcuni dei suoi racconti più belli, come “Il Barone Rampante”, “La strada di San Giovanni”, “Un pomeriggio con Adamo”: in quest’ultimo racconto, Italo ci offre un ritratto di Libereso “Il nuovo giardiniere era un ragazzo coi capelli lunghi, e una crocetta di stoffa in testa per tenerli fermi. Adesso veniva su per il viale con l’innaffiatoio pieno, sporgendo l’altro braccio per bilanciare il carico”. Mario Calvino scompare nel 1951, e dopo la morte del professore la linfa di quel mondo pacifico, culturalmente attivo e produttivo cede il passo alle logiche del progresso; Eva difende quel patrimonio, ma «poi sono arrivati, hanno vangato via tutto e ci han fatto dei palazzi. Questa è Sanremo!». Buona parte di quel lavoro così innovativo scompare in pochi anni dai campi e dai viali, ma rimane impresso nel cuore e nelle mani di Libereso. «Calvino aveva un valore non solamente come uomo, ma anche come maestro di vita, perché lui insegnava a tutti». Dopo la sua morte, va a vivere vicino a Ercolano dove dirige per otto anni un’importante azienda di orchidee del meridione di proprietà dei Matarasso. Qui si trasferisce e, insieme al padre, continua a nutrire quel suo amore per le piante e i fiori. Tra anturi, sterlizie e orchidee non manca di proseguire gli esperimenti cominciati con Mario Calvino. Viene chiamato nel 1959, dal fratello Germinal, in Inghilterra, per una vacanza; Libereso trasforma una breve visita in una nuova lunga avventura, aiutando il fratello, capo propagatore per un’azienda di fiori, conosce Sheila la donna che diventerà poi sua moglie, e si candida al concorso per diventare capo giardiniere del giardino botanico Myddleton House. Qui senza sapere una parola d’inglese, ma solo grazie ai nomi latini delle piante che Libereso conosceva a menadito grazie all’esperienza della Stazione Sperimentale di Sanremo, vince il concorso e ottiene il posto: «Ci sono andato convinto di fermarmi una settimana. Poi è finita che ho conosciuto una brava ragazza. L’ho sposata ed è stata lei a insegnarmi l’inglese, a segnalarmi che il giardino botanico Myddelton House stava cercando un assistente capo giardiniere. Lì ho lavorato anche con lo zio di Camilla Parker Bowles, il grande amore del principe Carlo d’Inghilterra. Al tempo stesso, dirigevo il giardino delle specie dell’università». Diventa anche tecnico ricercatore dell’Università di Londra, al dipartimento di farmacognosia, «Il mio lavoro era preparare tutte le piante per l’Università di Londra: ce n’era da fare, eh?». Impara tutti i nomi volgari delle piante in lingua inglese, e continua con gli esperimenti, incontrando un altro maestro di vita, il professore di farmacognosia Fairbear che, nel laboratorio dell’Università provava a trasformare gli alcaloidi del papavero da oppio in proteine, e ad estrarre, per scopi farmaceutici, i principi base delle piante medicinali. Dispensatore di conoscenze e buoni consigli, Libereso ricorderà con affetto il professore Fairbear per il suo approccio umano alle scienze e alle persone. Dopo 12 anni di permanenza in Inghilterra, Libereso è costretto a tornare in Italia per via della morte del padre. Qui entra alle dipendenze del comune di Sanremo come semplice giardiniere, ma la ristrettezza di vedute e di inventiva dell’ambiente, lo portano a liberarsi dell’incarico. Va a Lesmo, vicino a Monza, dove assume la gestione del parco di villa Somalia. Qui ripristina i 40 ettari del parco della villa di proprietà del Credito Italiano, lavoro che lo impegnerà per circa 7 anni. Prende poi la via del mondo e gira numerosi paesi tra cui Indonesia, Celebes, Marocco, India, Brasile, Cornovaglia. Sono proprio le piante a rendergli familiare i vari paesi in cui viaggia, ad esempio le molte piante che incontra in India le ha già coltivate a Sanremo, ma da ogni paese raccoglie nuovi semi, condivide conoscenze, conosce tribù, scambia idee e dorme sotto le stelle. Ogni volta che rientra in Italia, Libereso racconta le sue avventure botaniche a tutti quelli che lo vanno a trovare. Il suo giardino di 400m² a Sanremo, offre rifugio non solo ad alcune piante coltivate con Mario, ma a molte altre varietà trovate per il mondo. Il suo giardino è un Libro della Jungla, meta di molti appassionati. Da anziano Libereso continua a seminare buonsenso: si orienta all’educazione e adotta metodi d’insegnamento semplici e diretti con i bambini delle scuole, cercando di trasmettere loro quella magia che sembra provenire da un mondo antico, e di risvegliare l’attenzione e la consapevolezza verso i doni della natura. Le sue lezioni, agli studenti di Agraria, comprendevano disegno, conoscenza della flora spontanea, rapporto tra insetti e piante, cura dell’ambiente e biodiversità. «Io nella vita non ho mai guardato le grandi cose, ho sempre cercato l’uovo di Colombo, cioè le piccole cose, le cose semplici, che sono quelle che creano le grandi cose». Ha scritto libri illustrati di ricette, articoli su riviste nazionali e internazionali dedicate al giardinaggio, e partecipato a numerosi convegni e iniziative. Ormai pensionato ottantenne, riconoscibile per la sua folta chioma bianca, la barba arricciata e la pelle abbronzata, Libereso ha passato gli ultimi anni della sua esistenza, quale faro di una saggezza antica, senza tempo, quella dell’amore per la vita: «Sono in pensione e ho un piccolo giardino con più di 400 specie di fiori e piante. Ma quello che più mi piace è raccontare le meraviglie della botanica, i segreti degli insetti, ai bambini». Si spegne il 23 settembre 2016 all’età di 91 anni, la sua vita rischiarata dai tanti aneddoti e storie che ha saputo raccontare, prospera nella jungla del suo giardino e nel cuore di tutti quelli che amano la natura.

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Una risposta a “Il giardiniere rampante”

  1. L’ho conosciuto, frequentato grazie alla sua generosità di affabulatore di verità anche e soprattutto verso i bambini. Ancora oggi spero che rimanga un seme della sua saggezza in quanti lo hanno ascoltato nelle scuole in cui ho avuto la possibilità e l’onore di accoglierlo.

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