(articolo tratto dal Blog Granosalis – www.granosalis.org)
Posted on 27 settembre 2016 by Claudia
Ho conosciuto Sofia qualche anno fa, in occasione di un corso di distillazione di oli essenziali sull’appennino romagnolo. Era una due giorni in un’azienda agricola incredibilmente bella, quella di Massimo Corbara, esperto in quest’arte magica e affascinante della distillazione di piante officinali e studioso ormai da anni di spagiria. Io ero lì da semplice curiosa, piena di voglia di sperimentare un nuovo metodo di estrazione dei principi attivi dalle piante, ma senza alcun progetto preciso e “senza terra”, quindi senza grandi quantità di materia vegetale a disposizione per mettere in pratica quello che avrei imparato. L’ho comunque fatto in questi anni usando un piccolo distillatore da 12 litri, costruito grazie allo stesso Massimo, e usando le piante regalate da vicini (potature di alloro, ad esempio) e dal mio padrone di casa, che quando taglia la lavanda nel suo giardino si ricorda sempre di me.
Sofia, al contrario, era lì con un’idea ben definita in testa. Aveva iniziato da qualche tempo a coltivare canapa su terreni di famiglia a Colle Val d’Elsa e tra i possibili usi di quella pianta così versatile (almeno quanto demonizzata) ha pensato alla distillazione, ed eccola lì ad imparare l’arte al corso di Corbara.
Avevo già allora segnato la sua email e il suo numero, con l’idea di visitare i campi un giorno, poi la cosa è finita un po’ troppo in fondo nell’archivio abnorme dei “farò” e dei “vorrei” del mio cervello, fino a che lo scorso autunno ho rincontrato Sofia per caso. Ero a San Gimignano per lavorare a un catering all’interno di una fiera bio, e lei era lì tra gli espositori, col suo progetto Piante Innovative. La coltivazione della canapa è infatti solo una parte di un progetto molto più ampio e molto bello, che Sofia porta avanti con suo marito Paolo. Sono entrambi figli d’arte: il padre di Sofia è agricoltore in Val d’Elsa, il papà di Paolo coltiva in Piemonte, anche lui canapa, tra le altre cose. Si sono stabiliti col loro progetto a Palaia, in provincia di Pisa, ma sono spesso in Val d’Elsa, ed è lì che li ho incontrati, un martedì di metà agosto, in tempo per la fioritura della canapa.
Ma torniamo agli albori del progetto: Piante Innovative nasce per diffondere cultura e utilizzi pratici di piante particolarmente ricche e utili dal punto di vista soprattutto alimentare e medicinale. Piante non molto conosciute, autoctone o esotiche, o magari molto usate in un recente passato e poi dimenticate. Le prime piante su cui Sofia e Paolo di sono concentrati sono state canapa, perilla, okra e stevia, col tempo poi a queste pioniere se ne sono affiancate tante altre, che vanno ora a comporre il loro ricco catalogo, che è di certo lontano dall’essere completo o statico. Oltre alla cultura, infatti, diffondono piante vere e proprie, che riproducono e vendono a fiere ed eventi di settore, e semi, che tramite la loro associazione Natura Maestra scambiano e diffondono nelle stesse occasioni. Paolo ha anche una certa passione per le tecnologie EM (microrganismi effettivi, vi rimando al loro sito per un buon approfondimento) e produce il bokashi, un fertilizzante naturale composto da materiali diversi, come residui di distillazione, potature, alghe, scarti alimentari, in cui vengono inoculati dei particolari microrganismi che danno il via ad una fermentazione anaerobica, altro processo magico di trasformazione della materia vegetale. Il risultato è un composto naturale in grado di apportare moltissimi benefici al suolo e alle piante.
Ho raggiunto Sofia e Paolo nel campo di canapa nel tardo pomeriggio, per aiutarli a raccogliere le infiorescenze da mettere nel distillatore. Paolo armato di falcetto, Sofia di cesoie e io delle mie nude mani, che in effetti sono lo strumento migliore: invece di tagliare lo stelo, che è materiale superfluo nella distillazione (ma rende la raccolta più semplice), lo si può percorrere delicatamente ma con vigore tra pollice e indice strappando via foglie e infiorescenza, la parte preziosa. Salvo poi ritrovarsi delle belle vesciche sulle dita dopo appena mezzora 🙂
Abbiamo raccolto i fiori in un telo bianco, una decina abbondante di chili, poi abbiamo portato il raccolto nel giardino dei genitori di Sofia, dove il distillatore già ci aspettava, ancora carico del residuo dalla precedente lavorazione. Paolo l’ha scaricato in una carriola, raccontandomi quanto fosse utile per la produzione del bokashi che dicevamo. Non si butta via niente, insomma!
La pianta della cannabis (Cannabis sativa, in questo caso varietà futura) è a suo modo molto elegante. La canapa da fibra lasciata crescere in campo aperto è piuttosto diversa rispetto alle immagini che magari avrete visto della cannabis coltivata a scopo ludico, che viene messa sotto stress per farle produrre un’infiorescenza gigantesca e incredibilmente ricca di resina, supercarica di THC, il cannabinoide ad effetto psicotropo. Questi metodi di coltivazione li ho appresi dallo splendido e già citato libro di Michael Pollan, La botanica del desiderio (eddai, non l’avete ancora letto? È uno dei libri più affascinati e interessanti che siano stati mai scritti!!). Tra le quattro piante trattate da Pollan c’è proprio la cannabis, che nel capitolo a lei dedicato corrisponde allo specifico desiderio dell’ebbrezza. Pollan racconta di come sia stato proprio il proibizionismo a far sì che la coltivazione della cannabis si sia evoluta fino a produrre oggi piante con una quantità incredibilmente superiore di THC rispetto alle loro antenate dei primi anni ’80. È stata la stretta proibizionista a far sì prima che dalla Cannabis sativa si passasse alla C. indica, portata dall’Afghanistan dopo la distruzione delle piantagioni messicane (la varietà indica è molto più robusta della sativa, può fiorire fino ad alte latitudini e resta molto più bassa), poi che si incrociassero le due varietà per ottenere la C. sativa x indica, che concentrava il meglio sia dell’una che dell’altra, e infine che le coltivazioni diventassero indoor, al riparo da sguardi indiscreti e pompate all’inverosimile con fertilizzanti, acqua e lampade alogene, in modo da avere un ottimo raccolto in appena 8 settimane dalla germinazione. Altra importante caratteristica della coltivazione al chiuso è la possibilità di isolare le piante femmine, che vengono riprodotte per talea, togliendo loro qualsiasi possibilità di venire impollinate e di produrre semi. In questo modo le femmine, nell’attesa disperata di un insetto che porti qualche grano di polline dalle piante maschili, producono fiori sempre più grandi e ricchi di resina, un vero e proprio concentrato di cannabinoidi psicoattivi. Col risultato che contengono in media il 15% di THC (ma si può arrivare fino al 20%), contro il 2-3% della cannabis comune prima dell’inasprirsi delle misure proibizioniste.
Rispetto a questi superibridi moderni, l’infiorescenza della canapa da fibra è invece più discreta, ma molto profumata, dello stesso aroma della sua sorellona psicotropa. Quest’anno Sofia e Paolo hanno seminato una varietà francese, e il raccolto non è stato male; le piante sono cresciute abbastanza, alcune svettavano ben più in alto di noi, anche se in gran parte parte erano piuttosto lontane dal superarci in altezza. L’anno scorso, avevano piantato una varietà ungherese, la C. jubileum, che vorrebbe climi ancora più freschi e più piogge di quella francese. E poi è arrivato quel caldo torrido e il risultato è stato abbastanza disastroso, con le piante che sono fiorite quasi subito rimanendo molto basse. E perchè non una varietà italiana, la C. carmagnola, quella che con tanto successo e per tanti anni è stata coltivata nelle nostre campagne (l’unica rimasta delle tre varietà che esistevano un tempo)? Il problema è che di semi ce ne sono ben pochi, e non è molto facile reperirne in quantità. Il seme poi non si può riprodurre per sé e ripiantare, va ricomprato ogni anno e deve essere certificato a basso tenore di THC. Tanto per farvelo sapere, poi, bisogna essere un’azienda agricola e fare un’autodenuncia alla polizia per poter coltivare le varietà da fibra, non lo si può fare nel proprio giardino, anche se il livello di sostanze psicoattive è irrilevante. Fabrizio Cinquini docet. Personalmente auspico che questo sia presto possibile, e che la criminalizzazione di questa pianta così utile finisca una volta per tutte. Sarà senz’altro più facile che la coltura si diffonda di nuovo nel nostro paese, dato che è utile a tante altre cose, come vi spiego tra un attimo.
Durante la raccolta, Paolo ha spogliato uno degli steli del suo rivestimento verde, per farmi sentire quanto fosse tenace e resistente la fibra della canapa. Ho ancora quella striscia a casa mia, ormai secca, e vi giuro che non c’è verso di spezzarla. La canapa era una delle piante più utilizzate per la produzione di fibra vegetale, prima della diffusione massiva del cotone. Le differenze tra le due piante a livello di impatto ambientale sono davvero notevoli: il cotone richiede il doppio dell’acqua rispetto alla canapa, che essendo una pianta molto rustica non richiede trattamenti fitosanitari particolari, al contrario del cotone che è letteralmente imbevuto di pesticidi. La canapa inoltre non impoverisce i terreni, ma al contrario li migliora: seminando il grano in rotazione con la canapa, la resa aumenta in maniera tangibile.
Ormai, nonostante la coltivazione della canapa stia riguadagnando interesse in ambito agricolo, in Italia, e in generale in Europa, le infrastrutture per la lavorazione non esistono praticamente più. Sofia e Paolo mi hanno raccontato che ormai tutta la fibra di canapa presente sul mercato, anche quella bio, viene quasi esclusivamente dalla Cina. La stessa Assocanapa nel suo sito scrive:
Il motivo per cui […] la coltivazione della canapa non si e’ diffusa rapidamente e’ dovuta alle difficolta’ che si incontrano non solo a causa della totale mancanza di chiarezza del quadro normativo e dei rischi conseguenti a tale lacuna, ma soprattutto per il fatto che, in conseguenza dell’interruzione della coltivazione e della lavorazione per piu’ di sessant’anni e anche a causa della miopia delle istituzioni di ricerca deputate, rispetto alle altre colture che si coltivano su milioni di ettari da decenni in tutto il mondo (ad esempio al mais o alla soia), la canapa subisce un enorme divario (gap) tecnologico sia per quanto concerne l’aspetto agronomico (varieta’ idonee, rese per ettaro) sia per quanto concerne i macchinari per la coltivazione e la raccolta e i macchinari e i processi per le lavorazioni successive.
Il che è un vero peccato, da tanti punti di vista. La canapa ha una resa maggiore rispetto al cotone, e i suoi utilizzi sono, potenzialmente, davvero molti: ci si possono fabbricare tessuti, cordame, carta (che non necessita di sbiancamento), si possono usare i semi a scopo alimentare, ricavandone anche un ottimo olio. Altra caratteristica interessantissima della canapa, oltre alla possibilità di migliorare i terreni, è la sua capacità di bonificarli: è una delle piante più indicate nelle tecnologie di fitorisanamento, in grado di sottrarre ai terreni inquinati sostanze come diossina e metalli pesanti. Niente male, no? E non finisce mica qui: prendo in prestito un’immagine piuttosto esplicativa dalla pagina dedicata alla Cannabis sativa sul sito di Piante Innovative, in cui vengono illustrati tutti i possibili usi di ogni parte della pianta:
E poi, ovviamente, c’è l’utilizzo terapeutico. Se le varietà migliori da questo punto di vista sono quelle che contengono alte concentrazioni di CBD (l’altro cannabiniode, non psicoattivo, contenuto in maggior quantità nella Cannabis) unite a un contenuto non trascurabile di THC, anche le varietà da fibra che in Italia è consentito coltivare contengono moltissime sostanze benefiche. Nella Cannabis sono presenti tanti altri cannabinoidi in concentrazione minore, si stima che siano almeno una sessantina, presenti anche nelle varietà permesse qui. Il contenuto di CBD non è così elevato, ma c’è, e funziona, ovviamente in sinergia con tutto il resto. L’olio essenziale estratto da Sofia ha ottime virtù rilassanti, digestive e antinfiammatorie (e non solo, andate a leggere qui. E se ne producono solo 100 litri l’anno in tutto il mondo, è una vera rarità!), come anche l’infuso di fiori e foglie, che se siete fortunati potrete trovare in qualche fiera o mercato a cui Piante Innovative partecipa col suo stand. Pare che le vecchine vicine di casa di Sofia si siano perdutamente innamorate di questa infusione, che le fa dormire come ghiri in men che non si dica.
Un po’ come io mi sono innamorata di questo progetto. Ho incontrato nuovamente Sofia e Paolo a Lucca, ve l’avevo raccontato qualche settimana fa, quando vi ho presentato anche la mia nuova amica Perilla frutescens. Oltre a quelle due belle piantine di shiso, ho preso del cavolo riccio da trapiantare nel mio orto sperimentale (già raso al suolo dalle lumache…l’esperimento non sta andando proprio alla grande), una menta profumatissima chiamata Menta del capo e una salvia molto particolare, usata tradizionalmente nei rituali dei nativi americani, bruciandone le foglie per respirarne l’aroma.
Di certo ci incroceremo ancora. Se nel frattempo volete incontarli anche voi, seguite il loro sito e la loro pagina facebook per essere aggiornati sui tanti eventi a cui parteciperanno (il prossimo è già questo weekend a Piacenza), oppure fate un giro allaFierucola a Firenze ogni terza domenica del mese.
E se la distillazione vi affascina e volete iniziare a conoscerla, potete venire alla Mediateca Mario Monicelli di Asciano (SI) sabato 22 ottobre, dove insieme al mio piccolo distillatore domestico parleremo insieme degli oli essenziali, delle acque aromatiche, delle loro proprietà e del processo di estrazione. Faremo una distillazione vera e propria, con una piccola passeggiata erboristica nel mezzo, e alla fine ognuno porterà a casa un po’ di idrolato e un pochino di olio essenziale, se la pianta sarà generosa 🙂 Il corso sarà nel pomeriggio e durerà 4 ore, il costo è di 25 euro a persona. Prenotatevi chiamando la mediateca a questi numeri: 3497504247 – 0577717233. E a proposito di distillazione e non solo: romani, state sintonizzati che tra non molto scendo anche da quelle parti 🙂
Nota alle immagini: le ultime tre immagini di questo post sono prese dal sito e dalla pagina facebook di Piante Innovative, dietro autorizzazione di Sofia.