Vogliamo qui solo segnalare questo libro le cui riflessioni constano di atti pratici, recupero di conoscenze e di buonsenso. L’analisi tagliente e pragmatica evidenzia a quanto poco conosciamo l’ambiente vitale sotto l’orizzonte del suolo, conoscenza fondamentale per un progresso agricolo sano e equilibrato all’ambiente. Il ciclo del fosforo, il ciclo del carbonio, il perfetto ciclo dell’azoto, microflora e microfauna, rizosfera, microrganismi e meccanismi biologici in atto da sempre e oggi purtroppo in parte spezzati da un’avidità e un’ignoranza senza precedenti. Le soluzioni devono applicarsi oggi. Il lavoro da fare è molto e molto c’è da imparare. Di seguito un’estratto interessante tra agricoltura e innovazione, buona lettura.
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BIODIVERSITA E AGRICOLTURA (estratto dal libro Il suolo, un patrimonio da salvare: pag 94,95,96,97).
L’uomo coltiva le piante per numerosi e svariati scopi. Le piante coltivate sono fonte di alimentazione, di sostanze medicinali, afrodisiache o allucinogene, e infine di prodotti utili alla vita quotidiana, (legname da costruzione, fibre tessili, caucciù ecc.). Ogni pianta richiede quindi un tipo di coltura che permetta di ottenere la qualità migliore e la quantità maggiore della sostanza desiderata. Per raggiungere i suoi scopi, il coltivatore si è sforzato di selezionare le piante e di procurare loro un ambiente ottimale, il campo. Ma, prima di tutte queste tecniche, alla base dell’agricoltura c’è stato il sacro. Solo da una cinquantina d’anni l’agricoltura ha tagliato i ponti con la dimensione spirituale. Ma non bisogna dimenticare che in tutte le civiltà agricole le piante coltivate erano state date agli uomini dagli dei e tutti i miglioratori genetici o tecnici erano parimenti considerati doni divini. Sugli 8000 anni di evoluzione dell’agricoltura, la scienza ha inciso solo per un secolo, mentre la religione, associata all’empirismo, ha inciso per 7900 anni. importante sottolineare questo fatto perché la nostra epoca tende a disprezzare le acquisizioni spirituali ed empiriche. Esse sono, invece, fondamentali. L’uomo non ha atteso la scienza per mangiare e sarebbe inutile e pretenzioso spazzare via 7900 anni di esperienze spirituali di fronte a un secolo di scienza, anche se questa spiritualità è spacciata per magia. La scienza non è miracolosa come crede la nostra epoca e conviene sottolineare il fatto che, in un secolo, gli scienziati dell’agronomia non hanno addomesticato nessuna nuova specie vegetale, nonostante gli enormi progressi della genetica, che si è limitata a perfezionare acquisizioni millenarie, senza creare nulla. Siamo obiettivi e riconosciamo il valore dell’approccio spirituale al mondo: esso permette di creare e non deve quindi essere sminuito. L’innovazione attuale si limita al livello industriale e tende a sostituirsi all’innovazione biologica. Tutte le innovazioni agricole sono state introdotte dagli agricoltori. Gli agronomi non hanno inventato nulla, hanno solo reso deperibile l’agricoltura. Consideriamo per esempio ciò che abbiamo fatto delle varietà coltivate. In Francia, nel 1906, si contavano 3600 varietà di mele. Nel 1986, ne rimangono sul mercato soltanto 10, che rappresentano solo l’8% del mercato nazionale; 4 varietà americane riforniscono il 92% del mercato e la golden, da sola, fa la parte del leone con il 70%. Abbiamo mantenuto solo le varietà più adatte alla coltura moderna e al condizionamento industriale. L’erosione del patrimonio genetico non si è limitata alla perdita delle varietà: ha comportato anche, cosa ben più grave, la perdita di specie. Così, all’inizio del secolo, gli agricoltori francesi coltivavano 9 specie di grano mentre ora ne coltivano soltanto 2. Sono state ritirate dal circuito quelle che non si adattavano ai concimi e conservate quelle che ne esigevano in abbondanza, per la gioia dei commercianti e a danno dell’ambiente. La selezione prosegue e ben presto gli agricoltori europei ne coltiveranno probabilmente una sola, da cui verranno paste o pane, farina o birra. Questa distruzione genetica raggiungerà il parossismo con gli organismi geneticamente modificati. Assorbendo i produttori di sementi, l’industria chimica ha migliorato la qualità delle colture ma ha reso le piante dipendenti dai prodotti chimici. In realtà, un grosso freno agli utili di queste imprese è la durata limitata dei brevetti. Una volta scaduti, tra le imprese si scatena la concorrenza e il prezzo del prodotto, in balia del mercato, crolla. Mentre favorisce largamente i grandi gruppi, questo sistema non protegge la salute del consumatore. Con gli OGM, infatti, le imprese hanno trovato una soluzione per conservare gli utili: creano una pianta resistente al loro erbicida e la vendono all’agricoltore con un contratto in cui è specificato che l’agricoltore può utilizzare soltanto la molecola dell’impresa. Prima, i consumatori mangiavano pochissimi pesticidi in quanto essi erano sparsi sull’involucro esterno dei semi o dei frutti e l’irrorazione era proibita nei 3o giorni precedenti il raccolto. Con le piante OGM, gli insetticidi sono presenti in ogni cellula delle piante in quantità per ettaro da io 000 a 100 000 volte superiori agli insetticidi tradizionali e i consumatori ne assorbono molti di più. Con gli OGM la diversificazione industriale e chimica avrà definitivamente sostituito la diversificazione vivente. Di fronte a una simile evoluzione industriale e a una simile involuzione biologica, l’interrogativo che dobbiamo porci è il seguente: si tratterà di un autentico progresso per la nostra salute e il nostro benessere? Nessuno, ahimè, è in gradi di rispondere in modo obiettivo. Le risposte possono essere soltanto di ordine emotivo. I fautori appassionati della tecnica risponderanno di si senza esitare, mentre i romantici risponderanno di no con lo stesso ardore. In realtà, andiamo verso l’ignoto, e l’avventura in cui ci siamo imbarcati ha avuto origine solo trent’anni fa. Per due milioni di anni, i nostri stornaci si sono abituati a centinaia di specie di piante; da trent’anni tentano di adattarsi a migliaia di molecole chimiche nuove. L’adattamento avrà successo? Per forza, ma forse non per tutti, come mostra l’attuale epidemia di obesità. Creiamo la nostra selezione perché creiamo il nostro mondo. Tanto peggio per coloro che non supereranno la soglia della selezione operata dal mondo umano: obesità e tristezza saranno le loro compagne. Poco a poco, le specie e le varietà di piante coltivate scompaiono dai frutteti, dagli orti e dai campi, a vantaggio di alcune varietà produttive, ma spesso insipide. Si tratterà di una scomparsa totale come quella delle specie selvatiche? No, perché ci sarà sempre qualche irriducibile che conserverà gelosamente il melo del nonno e la cipolla della nonna. Nel mondo umano una scomparsa è raramente totale, soprattutto quando l’uomo vigila, poiché ciò che è raro è anche caro e quindi ricercato. Quanto più una varietà è rara, tanto più numerosi sono gli amatori che la desiderano. I collezionisti non si accontentano di salvare le opere d’arte, salvano anche le varietà coltivate e, fintanto che esisteranno orticoltori appassionati, esisteranno campetti destinati a salvare le varietà. Le piante hanno lo stesso destino delle conoscenze: in caso di sciagura, alcuni isolotti continuano a sopravvivere. Quando i barbari schiacciarono l’Impero Romano, la cristianità sopravvisse nei monasteri irlandesi, scozzesi e bizantini e, al ritorno della pace, questi isolotti fiorirono e si moltiplicarono attraverso l’Europa. Abbiamo scelto di rompere la nostra alleanza con la maggior parte delle piante coltivate, ma non si tratta di una rottura generale: numerosi giardinieri e agricoltori hanno mantenuto in vita il patto e, nel segreto della loro coscienza, rimangono uniti alla terra. Quanto più le nostre campagne diventano uniformi, omogenee, tanto più gli orticelli diventano segreti, diversificati e ricchi di avvenire. Quando comprenderanno che a nulla serve possedere una scienza genetica evoluta quando non ci sono più specie viventi da migliorare, gli uomini saranno felici di apprendere che alcuni irriducibili Galli hanno assicurato l’avvenire. L’umiltà del giardiniere coprirà di ridicolo l’orgoglio del genetista che si credeva re per il fatto di manipolare sordidamente il dna. L’abbandono delle piante coltivate è solo temporaneo; è una tappa della nostra evoluzione e abbiamo bisogno di scacciare la natura per offrirci la gioia di vederla tornare al galoppo. Ci siamo limitati a parlare delle piante coltivate, che rappresentano una parte infima delle 250 000 specie selvatiche esistenti. I genetisti si concentrano sugli OGM, continuano cioè a impoverire il bagaglio genetico delle piante, ma nessuno di loro si è mostrato abbastanza innovatore e moderno da interessarsi alle migliaia di piante non addomesticate. Questa mancanza di spirito di innovazione, l’incapacità di fare progressi, è una delle tare più gravi dell’agronomia. Mentre le altre attività umane straripano di innovazioni e di modernismo, mentre l’industria inventa senza posa nuovi strumenti come i computer, i telefoni cellulari ecc., í genetisti dell’agricoltura rimangono arcaici e continuano a lavorare sulle specie coltivate da 4000 anni. Da 2000 anni non è più stata addomesticata una sola pianta agricola. Questa mancanza di immaginazione, questo atteggiamento primitivo, riguarda, lo ripetiamo, soltanto i genetisti dell’agricoltura, perché gli orticoltori, invece, non cessano di naturalizzare nuove piante decorative per la gioia dei nostri giardini. Nei campi, invece, crescono sempre le stesse specie. Come si spiega un simile immobilismo? Ai loro tempi, erano molto più moderni i nostri antenati, clic hanno addomesticato tante specie commestibili e le hanno associate nei loro campi. Questa incapacità dei genetisti agricoli di entrare nella modernità è legata probabilmente al fatto che non sono più liberi, ma dipendono completamente dai grandi gruppi industriali che hanno rilevato tutti i produttori di semenze del mondo. Lo scopo, quindi, non è più quello di innovare in ambito agricolo ma quello di proteggere i brevetti, e dal momento che quattro o cinque grandi gruppi detengono la maggioranza delle sementi, le speranze di innovazione sono assai scarse. Questo blocco è tanto più deprecabile in quanto lo sviluppo di un’agricoltura durevole può verificarsi soltanto grazie all’addomesticamento di specie selvatiche adatte ai vari ecosistemi del mondo. I grandi gruppi sperperano somme immense per creare mais OGM in grado di resistere alla siccità, mentre esistono numerose specie di Poacee naturalmente resistenti che richiedono soltanto di essere migliorate secondo le tecniche classiche della selezione massaie. Ma queste piante, purtroppo, non sono brevettabili e di conseguenza non interessano i grandi gruppi che hanno ottenuto con gli OGM, e grazie alla viltà della comunità civile, il diritto di brevettare il vivente. Certo, gli OGM sono presentati come la tecnica che salverà il mondo, ma non dimentichiamoci che l’inferno è sempre pavimentato di buone intenzioni. La biodiversità è immensa e contiene potenzialità enormi, consentendo di nutrire gli uomini in numerose regioni del mondo, ma bisogna essere abbastanza moderni e abbastanza innovatori da utilizzarle.