Se, vagabondando per boschi e campagne alla ricerca di piante medicinali, dopo essere passati accanto a un torrente fiorito di azzurro aconito, da un prato pieno di arnica si è entrati nella penombra del bosco ove si incontra la belladonna e si è poi giunti in una radura in cui c’è una macchia di ortiche, ci si può sedere per una breve pausa di riposo su un ceppo per riflettere su ciò che si è appena accolto visivamente in sé. Prima la radiazione infuocata dell’amica, poi l’eufemistico elmo azzurro dell’aconito, sopra questo l’aspetto cupo delle Solanacee, bloccate nella loro proliferazione e poi questo verde amichevole, la crescita verso l’alto, la socievole convivenza, l’occultare le ferite inferte al bosco che si autoguarisce, l’offerta di un’ombra che calma, le radici che rivoltano lo strato terrestre favorendo il rinnovamento dell’humus. Quattro spiriti della natura all’opera attraverso quattro forme vegetali. Nessuno potrebbe prepararsi impunemente una pietanza a base delle prime tre citate. Le giovani ortiche, invece, sono uno dei componenti della minestra di primavera, possono venire gustate come fossero spinaci. Nel Medioevo con i gambi di Ortica si preparava la tela Ortica; una parente dell’Ortica, la cosiddetta ramia (od Ortica bianca, ndt), è tutt’oggi un’importante pianta tessile. L’Ortica, Unica dioica, nonostante le difese urticanti dei suoi ruvidi peli, è una delle piante amiche dell’uomo, lo segue nei suoi insediamenti, cresce attorno a cascine, stalle e granai, accanto agli steccati dei giardini, ricopre le macerie ed è conosciuta persino dai bimbi che imparano a non toccare tutto coraggiosamente. Ha seguito il colono bianco nel suo giro attorno alla terra. Il bestiame apprezza le piante giovani che, aggiunte secche al foraggio, favoriscono la crescita e la produzione di latte. Al margine dei prati, nei cespugli lungo i torrenti, al limitare del bosco, equamente distribuita, la s’incontra ovunque in ben calcolata diffusione, come qualcuno cui è stato affidato un compito importante in seno a tutta la vita vegetale. Quando, cresciuta bene, si erge così sana nel suo verdeggiare, conquista subito, anche se, volenti o nolenti, si è costretti a lasciarla dov’è; del mazzo di fiori di campo non entra a farne parte. Una creatura un po’ ruvida, ma pure fondamentalmente buona; se tiene a distanza lo fa, forse, solo per non venire disturbata nello svolgimento dei compiti importanti che ha da assolvere a vantaggio dell’intera natura.
Tratto da “Le piante medicinali” di Wilhelm Pelikan, Volume 2, pag 268, Natura e Cultura editrice.