Dalla Terza Natura al Quarto Spazio

Terza natura, agricoltura dei giardini e giardini come arte: agricoltura come arte.


L’essenza della Terza Natura, la riscoperta dell’intervento umano più ricettivo e sensibile ai connotati del paesaggio “molte dolcissime salite e piacevolissime vallette […] lasciate ad arte[…] per maggior vaghezza”, sembra aver riconsegnato molti giardini in seno alla natura. Il confronto tra geometria e selvatico è risolto dalla poetica pittoresca e romantica in modo apparentemente spontaneo. Per il giardino ogni traguardo o soluzione e sempre protratto e mai definitivo. Come una verde staffetta tocca invece che correre, ritornare, ascoltare, assecondare il genius loci, che in un giardino si rivela straordinariamente dettagliato. Al dettaglio contribuisce l’opera dell’uomo che modifica, pianta, colonizza, sfrutta, crea, dimentica, abbandona e poi ritorna.
È proprio sulla scansione di questa altalena che si alternano Terza Natura e Quarto Spazio; “Il Quarto Spazio è un limite, è un ‘non-oltre’ per il corpo e per la mente. Di fronte ad esso ci si può fermare per aspettare qualcosa, oppure lo si ignora e si scivola via. Massa mancante, il Quarto Spazio rappresenta ciò che è informe, caotico, opaco. È cassa sonora in attesa di suono. Si può negarne la presenza, oppure in sua presenza si può immaginare, ascoltare, ricominciare a imparare”.
Se la Terza Natura è il migliorare e migliorarsi nell’applicare le conoscenze tramandate,che dovrebbero essere guida al progresso tecnologico e non venire scavalcate da quest’ultimo, è proprio nella terra e nel modo di gestirla che si rivela lo specchio dei tempi. Ma questa modernità non è meno dissacratoria di quella antica, la differenza sta solo nelle esigenze collettive e dal diverso modo d’intendere la cultura e la coltura, sospinta da un condizionamento di produzione intensiva che se da un lato sfrutta e sottrae spazio dall’altro tralascia gli ambienti degni di poetica e privi di politica, che forse proprio per questo si preservano incontaminati.
“Invece di usarlo come un restauro della coscienza individuale e sociale, possiamo guardare il giardino come un pensiero visivo verso l’aperto, possiamo guardare noi stessi di spalle affacciati verso l’ignoto”, permettendoci così di agire tutt’intorno a noi per via di quell’innata sensibilità, di cui basta riscoprirne il creativo non-confine per attingere chiaro l’intento dell’azione, accoppiandolo concretamente a tecnica e storia.
Terza Natura come riconquista dei valori di una natura spontanea anche all’interno del giardino, che se in tempi passati era curato in maniera puntiforme per il sostentamento vitale e culturale della comunità stessa, ora si denota quasi come un sovrappiù.
Ma se i giardini in città soddisfano il naturale bisogno dell’uomo di accostarsi seppur temporaneamente all’idea e al bisogno di campagna, sta proprio nell’incapacità di suscitare in sé questa dialettica la causa da cui scaturisce il Quarto Spazio.
Quarto Spazio è lo spazio aperto senza alcuna utilità economica o sociale: privo di funzione, sfugge agli interessi di gestione burocratici o individuali; non ha altro statuto se non quello di esserci.

Ricolmo per questo di possibilità intraprendenti, viverlo e risvegliarlo alla Terza Natura, laddove possibile, non vuol dire estinguerlo o convertirlo, ma più semplicemente assecondarlo, fattore questo estremamente positivo, immediato ed economico, fonte inoltre di sorprese e di scoperte che riportano a lettura brani di storia dimenticata, non quella scolastica, ma quella fatta da ognuno di noi, giorno per giorno. Se l’affermazione della Terza Natura è in fondo l’affermazione dell’uomo, della sua individualità nell’armonia del cosmo, della sua capacità di scorgere nella natura una legge universale, essa non afferma il destino di un disegno universale forgiato da una mente superiore, ma il risultato dell’esperienza degli uomini; oggi è il risveglio del Quarto Spazio a rendere possibile il ritrovare questo sentimento. Basta guardarsi intorno per comprendere l’indice di questa ambivalenza. Qui la scelta diventa saper vedere. Gli equilibri e la storia dei luoghi non più frequentati sono in rapida successione per via di una colonizzazione naturale vegetale dapprima pioniera e invasiva e di poi sempre più stabile. Il Quarto Spazio, proprio per le cause che lo generano tra cui l’urbanizzazione, l’abbandono, l’inacessibilità, diventa manifesto di una natura libera di autogestirsi in un contesto artificiale o dimesso. Il caos diventa l’ordine di composizione soverchiando ogni traccia di dedizione umana, (che ne diventa l’elemento di maggior fascinazione).
“L’omologazione degli spazi ha rimosso dal quotidiano lo spazio sconosciuto, lo spazio in cui ci si perde, lo spazio del rischio, della fatica, della morte. Nel giardino non c’è pericolo di smarrirsi come accade nella natura selvaggia, perché il giardino è ancora il giardino dell’Eden, dove esorcizziamo le nostre paure di fronte al selvatico. Ma l’uomo ha un bisogno fisiologico e psicologico di queste cose, e continuare a rimuoverle può essere più pericoloso che ascoltarle”.
Il Quarto Spazio è il punto di mezzo tra gli estremi umano e selvatico, ma l’omologazione dettata dalla necessità ha reso incapaci molti di noi a esplorare ed esplorarsi senza perdere l’orientamento, di seguire con intelligenza la volontà del coraggio e la chiave universale della curiosità. Ecco perché saper vedere: per discernere il pericolo dalla scoperta, l’avvento dall’intuizione. Dal Quarto Spazio non bisogna pretendere ma ascoltare, e solo così che il frastuono degli spazi dimessi, risorge come eco e rintocco della Terza Natura, luoghi che, come nel caso qui di seguito presentato, sono spesso quelli in passato più curati e pregni della dedizione umana nel far fiorire la terra, che nel frattempo continua ad esistere. Con la complicità dell’uomo nel riprendere dallo stato di fatto, senza nostalgia per ciò che fu, la Terza Natura applicata oggi può essere linfa per la primavera del Quarto Spazio. Anche le cascate hanno bisogno di una sponda, alla rapidità di questi tempi è bene fornire riferimenti di fermento creativo, liberi dagli inni al cemento ed estremamente moderni in termini di produttività e resa al pubblico; alla fruizione collettiva subentri il sentimento che ci rende individui, pozzo per vivere e comprendere l’arte e la natura. Dall’indipendenza del Quarto Spazio alla rete di esperienze e dedizione che ancora si tramanda attraverso la Terza Natura risulta l’equilibrio che trascende sia Terza Natura che Quarto spazio: il giardino eretto o social-selvatico.
Dove al controllo del selvatico si passa al controllo selvatico, e la produttività ritorna arte agricola.
“Non fraintendere questi miei pensieri perché io non mi ritengo un naturalista d’assalto, un nemico del nuovo, anzi, sono assolutamente convinto che i giardini siano e debbano essere fatti per le persone – e non per le piante, come molti credono. E proprio poiché sono convinto che le piante assumono valore e importanza solo nel momento in cui si comprende la loro dinamica e le loro potenzialità, posso assicurarti che il giardino che più mi interessa è quello che sa integrarsi in un paesaggio spontaneo creatosi secondo un gioco evolutivo di forme, capace di generare un mondo misterioso, quasi impenetrabile, in cui perfino le ortiche vanno mantenute: per la loro dichiarata capacità di autodifesa, oltre che per la loro spontanea predisposizione a ospitare le crisalidi di meravigliose farfalle. Ecco dunque la risposta alla tua domanda, ecco un esempio di giardino quando non c’è più natura, o meglio la mia visione ottimistica di come le piante e gli animali pionieri ci aiutino sempre dando una seconda possibilità malgrado ogni nostro sforzo di cinico sfruttamento delle risorse. Il miglior esempio? Quello da emulare? Non lo so. Però sicuramente è solo grazie all’energia della natura se i nostri errori vengono riassorbiti”.

testo completo su: https://issuu.com/jivansidea/docs/greenrestorethree/2?ff

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