Fitopolis: Dalle caverne alle vie degli alberi

Ho da poco concluso la lettura di “Fitopolis, la città vivente” di Stefano Mancuso e ne sono stato tremendamente ispirato;

un libro che va ben oltre un semplice saggio sul verde urbano. L’autore, scienziato di fama mondiale, compie un viaggio visionario e concretissimo per immaginare le città del futuro, smantellando il paradigma antropocentrico. La sua proposta è una rivoluzione copernicana: progettare i centri urbani dalla prospettiva delle piante. Il libro delinea come i vegetali debbano essere considerati non come arredo, ma come vere e proprie infrastrutture viventi essenziali (definite “blu-verde”) per la regolazione del microclima, la gestione delle acque, l’assorbimento di inquinanti e il benessere psicofisico. Il concetto portante è quello di “Plantecture” (Plant + Architecture), ovvero integrare il mondo vegetale nella pianificazione e nell’architettura fin dal progetto, creando edifici che respirano e reti ecologiche che fungano da “sistema circolatorio” verde per città più resilienti e simbiotiche.

Aldilà del viaggio e delle analisi, aneddoti e riflessioni che offre, ritengo sia un libro fondamentale per comprendere l’orizzonte, la strada e le soluzioni da intraprendere per il nostro futuro e il futuro delle città dove vive attualmente oltre il 50% dell’umanità.

Alla fine di questa lettura, tra le molte risposte e i ragionamenti assorbiti, è rimasta viva in me una domanda: siamo davvero Homo sapiens, come indica la scienza, o dobbiamo ancora diventarlo?

Mancuso ci accompagna con fermezza in un viaggio alla scoperta del buonsenso, ad avere una visione sui prossimi passi da compiere e ad esserne consapevoli.

Per intraprendere questo risveglio, le piante sono fondamentali. Innovative, risolutrici, sono la guida prima e ultima per un ritorno in seno alla Natura. Quella Natura che abbiamo sostituito con la più generica parola “ambiente”. Ma anche su Marte esiste un ambiente; la Natura viva, organica, è possibile solo grazie alla presenza delle piante e al miracolo della fotosintesi. Se il nostro mondo è a colori, è merito loro.

E allora, com’è possibile che abbiamo alienato le città dalla natura che le circonda? Oggi le campagne sono trattate – salvo piccole eccezioni – come industrie a cielo aperto, banalizzate e ridotte a substrati di produzione meccanizzata. Le città sono diventate arterie per macchine e motori. Tutto ci fa intendere che la frequentazione futura dei nostri centri urbani sarà possibile solo per merito degli alberi e delle aiuole. Solo così torneremo a essere pedoni di città più ospitali e resilienti, in grado di affrontare ondate di calore, alluvioni e siccità. Questi fenomeni estremi potranno essere stemperati solo se agiamo ora, e solo grazie a quante più piante riusciremo a inserire e intessere nel tessuto urbano.

Esistono già sporadici casi virtuosi: il bosco di Notre Dame a Parigi, gli interventi a Seul, Medellín e in alcune città del Brasile. Dovremo forgiare nuovi orti botanici e formare giardinieri, educare il senso civico a riconoscere le piante, a tutelarle e a renderle parte integrante delle nostre città futuristiche.

 

Nei libri e nei film di fantascienza, tutto viene spesso affidato alle macchine; raramente si vede l’ombra di un albero. Solo poche palme sopravvivono su Dune, il pianeta della spezia inventato da Frank Herbert. Eppure, in realtà, nessun futuro è possibile se non partiamo dall’ABC che ci offre la comprensione della Natura – parola così complessa che possiamo iniziare a intuire solo comprendendo il mondo vegetale che ci circonda.

La Natura è la nostra origine, ciò che ci dà la nascita. È la realtà ultima. Se consideriamo che, per equilibrare l’impronta ecologica di una grande città come Roma, servirebbe un territorio che dalla Calabria arrivi all’Emilia-Romagna (isole comprese), capiamo che qualcosa non torna. Le fonti fossili celano questo impatto sul paesaggio, ma allo stesso tempo mettono a nudo la voracità e l’inefficienza dei conglomerati urbani: si spreca molto, si ricicla poco. Nelle città le temperature possono salire anche di oltre 6,5 °C rispetto alle campagne; si inquina l’aria e l’acqua. Tutto perché, in fase di progettazione, si è perseguito un modello che vede le faccende umane e la Natura come nemiche. Il quadro rinascimentale della città ideale è stato portato al suo estremo eccesso, con l’idea che gli alberi sporchino e siano pericolosi… come se le macchine non lo fossero molto di più.

E cosa ci rimane di queste grigie strade, oltre all’apparente comodità? Immaginiamo invece una città agghindata con alberi e fiori, ben inseriti nel paesaggio, che incorniciano archi e architetture, piazze e negozi. Viali accompagnati non solo da platani, ma da moltissime specie studiate ad hoc; serre e corridoi verdi per farfalle e uccelli; acque e fontanelle per rinfrescare e idratare i luoghi; recupero delle acque piovane e tetti verdi.

 

Insomma, c’è molto da fare. L’alternativa? Abbandonare i nostri luoghi cari, le memorie e i monumenti, per fondarne di nuovi – speriamo basati sull’ispirazione degli alberi. Le città, come le piante, non possono migrare. Possono solo adattarsi.

“Convertire questo crogiolo in cui siamo tutti King Kong – con i nostri 70.000 watt di consumo al giorno – in un mondo di Homo sapiens è un sentiero tutto verde.”

 

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Una risposta a “Fitopolis: Dalle caverne alle vie degli alberi”

  1. sarebbe un sogno che diventa realtà

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