La ricerca di piante utili e particolari è sempre stata insita nell’uomo; la storia intera dell’umanità dai tempi antichi a oggi ci racconta di importanti scoperte botaniche e dell’utilizzo delle piante come incontro e scambio di civiltà, conquiste, curiosità e vizi. I giardini erano spesso il luogo ideale per accogliere, acclimatare e diffondere piante di culture e tradizioni diverse.
Oggi, appare alquanto riduttivo considerare il giardino come semplice luogo di svago e di relax.Possiamo ritrovare in esso un’estensione non solo della cucina, ma anche della persona: non solo un orto, ma un giardino consapevole, frutto di biodiversità alimentare e sinergia di piante utili, dal valore commestibile, terapeutico e ornamentale, che porti ad un’autentica fruizione di questo spazio e un reale utilizzo di ciò che in esso viene prodotto. La ricerca di Piante Innovative parte con uno sguardo allo specchietto retrovisore su quello che è stato tralasciato dalla modernità dei consumi, su quel sentiero fatto di storie di uomini e piante, dai sapori e dai saperi dimenticati; tale viaggio iniziò nel ‘98 con la coltivazione della canapa, di cui era evidente allora come ora la scarsa conoscenza del potenziale utile offerto da quest’antica pianta, e quanto i prodotti da essa ricavati avessero contribuito allo sviluppo delle civiltà umane.Così dopo la canapa, per sostenerne la sua diffusione, iniziammo a coltivare altre varietà di piante poco conosciute, ma che ci sorpresero per le proprietà e gli utilizzi: la Stevia, con le sue foglie dolci, la Perilla che guardava a oriente e ne costituiva uno dei riferimenti in cucina, l’Okra con le sue 1000 ricette e altrettanti nomi, il Tagetes minuta, sacro agli aztechi e utile come bio-repellente. Era solo l’inizio. Conoscere e condividere queste colture ci portò in contatto con molte altre varietà di piante riscoprendo sentieri già percorsi da grandi ricercatori, umili contadini, appassionati e custodi di semi antichi. Così trovammo via via piante orticole “curiose” e degne di nota, conosciute e reperibili fino agli anni 60, ma poi scartate dai mercati per motivi d’imballaggio, di conservabilità, di logica del puro profitto e dello sfruttamento, a scapito delle economie locali e familiari dall’identità piccola, ma precisa e sostenibile. Un punto di pregio e di forza fondamentale di queste specie definite “antiche” sta nella riproducibilità dei loro semi. Il reale valore di una pianta inizia proprio dal seme: quest’elemento vitale è stato lo spartiacque tra l’agricoltura moderna e quella antica e sarà lo spartiacque tra la sostenibilità del nostro cibo o la dipendenza totale dalle monocolture. Un seme riproducibile naturalmente è un seme destinato ad adattarsi e ad arricchire il suo patrimonio genetico, come afferma Rudolph Steiner “Un seme non è soltanto ciò che di esso appare all’occhio[…]L’intero universo circostante comincia ad agire sul seme imprimendovisi […] Così otteniamo nel seme un’immagine dell’universo stesso”.Coltivare dunque piante fertili unitamente a fertilità del suolo, biodiversità e creatività sono i pilastri per realizzare un buon orto o giardino consapevole, piccole pagine di vita dove si instaurano alleanze tra piante uomini e insetti.
Troppe varietà di piante e cultivar utilizzate da secoli dalle popolazioni sono sparite negli ultimi decenni, surclassate dalle poche varietà coltivate o richieste dall’industria e dai suoi apparati. Ma in cucina, come in giardino è possibile sperimentare nuove combinazioni. In quest’ottica spesso non s’incontrano solo piante belle da vedere, ma anche buone da mangiare; scoprire l’utilizzo alimentare di certe specie ci avvicina a culture lontane riabilitando qualità impensabili in certe specie botaniche: un esempio lo rappresentano le dalie, famose come fiori, ma ad oggi praticamente sconosciute come ortaggio, i tuberi di alcune specie di questa famiglia ((Dahlia imperialis, Dahlia coccinea) erano consumati e molto apprezzati dagli indigeni del Messico e proprio in qualità di ortaggio approdò in Europa nel 1788 anche se ebbe scarso successo, ma per la sua bellezza conquistò il cuore di molti giardini. Durante questa ricerca alla scoperta di piante edibili, abbiamo imparato quanto sia importante oltre al nome botanico, che definisce una specie o varietà, anche il nome volgare che spesso ci aiuta a carpirne un possibile impiego in cucina, rapportandosi alle proprie tradizioni culinarie e ricette. Si pensi al carciofo: il più famoso e rinomato, di “nostra” tradizione è quello romano (Cynara scolymus), ma anche il carciofo di Gerusalemme (Helianthus tuberosum o Topinambour) rimanda a questo sapore anche se in maniera diversa, così come il carciofo cinese (Stachys affinis) o tuberina, altro tubero dalla consistenza croccante ottimo anche crudo; curioso è il caso della zucchina a stella o patisson chiamata anche “carciofo giudeo” e apprezzata per il suo sapore delicato e la sua consistenza simile alla Cynara. Numerosissime sono le verdure nel mondo che aderiscono alla nostra idea di spinacio. In Grecia troviamo la “Vlita” (Amaranthus deflexus) che, con le sue foglie ricche di ferro, costituisce ingrediente fondamentale in alcuni piatti tipici; in Oriente, l’Amaranthus gangeticus e l’Amaranthus tricolor ; gli Atriplex hortensis o spinaci estivi, noti già al tempo dei romani e molto coltivati fino a tempi recenti, ma oggi del tutto scomparsi dai mercati contadini; lo spinacio di Okinawa o (Gynura bicolor) utilizzabile sia cotto che crudo dal sapore tra lo spinacio e l’alga; lo spinacio della Nuova Zelanda (Tetragonia cornuta) unica verdura che, secondo la teoria di Vavilov, ha come centro di origine la zona australe.Possiamo andare ai piedi dell’Himalaya e trovare la Moringa oleifera, albero molto versatile e dalle qualità nutrizionali 25 volte superiore agli spinaci comuni; la Molokhia o spinacio dei faraoni (Corchorus olitorius) è una verdura tipica dei paesi arabi ma è molto più famosa come fibra tessile (iuta). Dai Faraoni ai re, passeggiando per le montagne sarà facile imbattersi nel Buon Enrico (Chenopodium Bonus Enricus), così chiamato in onore di Enrico IV di Navarra (1553-1610), sovrano molto amato dai sudditi francesi, promotore e artefice di notevoli miglioramenti in campo agricolo e oggi considerato idealmente il protettore dei botanici. Tra gli spinaci più curiosi troviamo lo spinacio fragola (Chenopodim capitatum) altra chenopodiacea, simile al buon Enrico nel portamento, ma che presenta sulle sommità degli agglomerati morbidi del tutto simili a fragole e dal sapore davvero curioso tra un frutto e una verdura. E ancora, sfogliando un manale di inizio ‘900 si legge alla parola Basella: “Pianta esotica, coltivata per le sue foglie che si mangiano come gli spinaci; se ne conoscono più specie; gli steli, sarmentosi giungono sino a 2 metri di altezza”. Anche per quanto riguarda i cetrioli, possiamo viaggiare intorno al mondo e ritrovare decine di specie e varietà molto diverse tra di loro, ma al contempo simili: il cetriolo delle antille (Cucumis anguria) conosciuto in Brasile come maxixe e cucinato come verdura insieme a riso o carne; il cucamelon o cetriolo dei Maya (Melothria scabra) varietà che ha rischiato l’estinzione e che è tra i cetrioli più curiosi dati i suoi numerosi frutti grandi come una grossa oliva e che rassomigliano in tutto a delle angurie; la caigua (Cyclanthera pedata) originaria del Perù ma coltivata da quasi due secoli in Lombardia con il nome di Miliun. Casi a parte sono i meloni consumati come cetriolo: i cetrioli armeni lunghi fino a 80 cm e molto digeribili e i famosi “caroselli”, cetrioli coltivati in Puglia che presentano numerose varianti di forme. Anche la Momordica charantia o cetriolo amaro è una pianta che fu fra le prime della nostra selezione: pianta utilizzata in tutto l’oriente ed estremamente terapeutica, viene coltivata a ettari in Vietnam, in India e utilizzata come verdura; da noi si trova nei mercati di frutta e verdura esotica. Numerose sono infine le cultivar del classico Cucumis sativus, cetriolo di nome di fatto, ma che comprende delle curiosità botaniche davvero particolari; per citarne solo due: il cetriolo limone, dalla caratteristica forma tondeggiante e sapore che ricorda il limone e il Kaiser Alexander o Skimmett, vera rarità fra gli ortaggi originaria dell’Ucraina: presenta una caratteristica scorza marrone a mosaico, che risulta molto saporito e durevole, ed era già presente nei cataloghi di semi di metà 800. Autoprodursi alcuni fra i molti ortaggi perduti, oltre che appassionante, è uno dei pochi sentieri percorribili per utilizzare e sperimentare in gustose ricette questi antichi sapori. Tra i più particolari sia come metodo di riproduzione sia come capacità produttive e proprietà alimentari troviamo la cipolla zingara, Allium cepa viviparium detta anche albero delle cipolle o cipolla che cammina, ortaggio diffuso a tutte le latìtudini data la sua resistenza alla siccità e al gelo (fino a -50°C) e le sue qualità organolettiche straordinarie; e la zucchina spinosa o Chayote (Sechium edule), una particolare cucurbitacea che fu portata in Italia anche da Mario Calvino dal Messico e diffusa molto al sud dove caratterizza numerose ricette; ricca di amminoacidi, vitamine e sali minerali, è ancora poco reperibile nei mercati contadini, ma per la bellezza del fogliame, la vigoria e la produttività merita di buon grado un posto nel nostro orto-giardino; entrambe queste specie sono accomunate dalla condizione di viviparità: un tipo cioè di riproduzione in cui lo sviluppo del germoglio, che di solito viene affidato al seme, avviene all’interno dei bulbi prodotti a corona sopra il fusto per la cipolla zingara e direttamente nel frutto per il Chayote.
Ci si potrebbe dilungare molto ritrovando colture, ricette e consociazioni utili; tutto questo ci accompagna in un mondo apparentemente fantastico: il melone tigre, l’anguria luna e stelle, la zucca siamese e l’anguria cedrina, il ravanello gigante o daikon di Sakurajima, lo spinacio fragola,il Buon Enrico, il cucamelon e il kiwano, il fagiolo asparago, la cipolla che cammina, l’aglione elefante (che poi è un porro), la mandorla di terra o zigolo dolce, la radice mela (Polymnia sonchifolia), le zucchine a stella, i coloratissimi kale o cavoli ricci (Brassica ol. var. Sabellica) parenti del cavolo nero di Toscana (chiamato anche Dino Kale)e i cavoli di mare (Crambe maritima), lo spinacio corridore (Basella rubra) e le piante sensitive (Desmodium gyrans e Mimosa pudica) sono solo alcune delle piante che stiamo imparando a ricoltivare, conoscere e a utilizzare anche in cucina o come rimedio per il benessere e l’ambiente, ma è un puzzle che necessita di molti cuochi giardinieri e veri coltivatori per essere ricomposto.Qualsiasi varietà si scelga è bene comunque ripartire da sistemi equilibrati di piante che creano sinergia,comeTagetes minuta, amaranto e tomatillo (Phisalis ixocarpa) oppure amaranto, zucche e mais o canapa e cavoli (in rotazione); la canapa insieme alla martynia (Proboscidea lousianica) è un’ottima barriera naturale contro insetti e animali fastidiosi per altre colture; il Solanum sysimbrifolium è un alleato prezioso per patate, melanzane e pomodori in quanto potente repellente di insetti nocivi e nematodi; utilizzare Stevia, Luppolo, Canapa, Consolide, Ortiche ed Equiseti per trattare e coltivare naturalmente le “stanze” dell’orto o del giardino, diventando più consapevoli di quanto può essere articolato e ampio l’intervento atto a migliorare la fertilità del suolo.Diversificare le produzioni e creare sinergia utile,di questo ci sarà sempre più bisogno per avere un ambiente che possa definirsi tale e soprattutto un futuro sostenibile. Il tema piante commestibili è un mare senza fine, ma molto sta nell’attuare quella conversione di intenti e diventare in parte produttori e coltivatori in bilico fra cibo, cultura e storia per ritrovare quella sostenibilità perduta o nascosta nei tanti nomi curiosi di piante e in noi stessi. Dobbiamo vedere la sostenibilità come la vetta di una montagna e le buone pratiche di recupero, coltivazione e autoproduzione come i sentieri che la realizzano.