Questo breve excursus vuole condividere un piccolo tratto di storia, molto intenso, memorie del nostro passato in qualche modo ritornano attuali. A cavallo tra il 1915 1918, durante la Grande Guerra che coinvolse il continente Europeo, diventò indispensabile la produzione di cibo e beni primari in loco.
“Ora è una necessità quella di produrre abbondantemente; è una necessità assoluta quella che ogni palmo di terra venga coltivato e produca: dia i prodotti che sono assolutamente necessari per l’esistenza nostra”*.
Venivano forniti manuali, per convertire i giardini in orto; le piazze delle grandi città diventavano le aie, dove si batteva il grano raccolto e tutto ruotava attorno alla necessità di auto sostentamento. Le difficoltà erano enormi, e le persone vittime dei blocchi imposti dai governi e dal conflitto operarono una vera e propria riqualificazione degli orti; si arrivò perfino ad arare il parco del Valentino, rendere più razionali le aiuole dei magnifici giardini sparsi sul territorio, si sceglievano con cura i semi e le rotazioni per ottenere il massimo della produzione. Erano tempi duri, e i morsi della fame risvegliarono la cura degli orti di famiglia e degli orti collettivi. Ecco sotto l’egida di scrupolosi manuali le indicazioni venivano offerte alle comunità e ai gruppi di lavoratori della terra. La situazione si ripeté anche durante il secondo conflitto mondiale; in maniera ancora più accentuata per via delle sanzioni e dell’autarchia che imperava in Italia, vennero stravolti interi parchi e giardini con il benestare del regime: “Le persone piantavano giardini nei cortili, nei lotti vuoti e persino sui tetti delle città: tutti mettevano insieme le risorse e raccoglievano ogni sorta di frutta e verdura in nome del “patriottismo” e dell’aiutarsi comune[…]In questo periodo si diffondono pubblicazioni ad opera delle Cattedre Ambulanti di Agricoltura che esortano i cittadini a sacrificare il proprio giardino per lasciare spazio alla coltivazione delle “ortaglie”, in un momento in cui produrre è un dovere non solo verso se stessi ma anche nei confronti della Patria.”**. Anche le altre nazioni non furono da meno: in America s’istituirono i “War garden”, in Inghilterra i “ Victory gardens”, insomma ci fu un fiorire di piccoli e medi appezzamenti coltivati e riqualificati per far fronte ai giorni bui che trascorrevano inesorabili.
Nel presente più recente era da qualche tempo che una cappa simile minacciava il quotidiano del vecchio continente; il linguaggio bellicoso già assunto durante la pandemia ha spinto molti nella contingenza di coltivarsi il proprio cibo e di riscoprire il piacere di stare all’aria aperta. In molti hanno ritrovato per necessità e virtù questo spazio di vita, di pazienza e di abbondanza. Anche solo in piccoli balconi o assolati terrazzi, orti comunali e campi recuperati dai rovi; ho visto molti di questi spazi germogliare, le piante potenti alleate della nostra tavola, offrono derrate anche nel piccolo spazio. Attualmente con l’inasprimento della crisi e lo scoppio del conflitto fra Russia e Ucraina, si approfondisce ancora di più tale necessità di soddisfare le esigenze primarie a volte proprio a scapito della virtù. D’istinto viene naturale rispolverare quei manuali, stravolgere le aiuole per far posto a colture razionali, nascono filiere cortissime che offrono cibo, e i cittadini si ritrovano orticoltori o a frequentare i mercati dei contadini, ma anche se l’ombra del passato tenta di far precipitare il presente, voglio ricordare la virtù di questi spazi di vita: i Giardini di pace. Ritrovo ancora più alleate le piante, una grande Nazione dove la collaborazione è molto maggiore che la competizione, dove tutto si può riutilizzare, dove tutto è interconnesso e la vita può prosperare ed evolvere. Giardini di pace per non cadere nella sola contingenza dello sfamarsi, ma per ritagliare uno spazio di riflessione, preghiera e meditazione; per ricordarsi dei semi che possiamo e dobbiamo piantare in questo presente; giardini di pace dove la bellezza, opera fragile e mutevole, ci indica la via del vero e del buono, spazi da proteggere perché diario di culture e scambi fra la diversità. Vedrete che la tavola non rimpiangerà i molti fiori che possiamo curare in tali giardini, facendo felici insetti e lombrichi, che come le piante sono fondamentali per lo svolgersi del ciclo delle stagioni. Quindi non dimentichiamoci tra i tanti orti coltivati per far fronte alla penuria attuale e futura di dedicare uno spazio rivolto alla pace, un luogo dove ristorarsi e contemplare, che sia un orto o un giardino.
*da La trasformazione del giardino in orto di guerra : conferenza tenuta nel salone della Società impiegati civili di Pavia
**https://www.movio.beniculturali.it/bncf/litalialaguerraeilcibo/it/orti.html