Lo Scienziato che morì di fame per salvare i semi del mondo
«Noi andremo al rogo, moriremo bruciati, ma non rinunceremo mai alle nostre convinzioni».
Nikolaj Vavilov nasce a Mosca il 25 novembre 1887. Il padre Ivan era riuscito a diventare un benestante mercante, nonostante le sue umili origini, grazie all’innato talento per il canto. La sua voce fuori dal comune lo portò presto ad esibirsi a Mosca e appena le condizioni finanziarie glielo permisero, riuscì ad investire in ambito tessile assicurando così l’economia della famiglia. Insieme al fratello Sergej, Nikolaj costituisce il perno dell’avanguardia scientifica russa, ma mentre il fratello si dedica alla fisica, lui preferisce l’ambito agricolo, diventando presto agronomo e attuando innovazioni e scoperte fondamentali per la genetica vegetale. La sua perspicacia e capacità di vedute, lo portano già a distinguersi durante gli studi. Nikolaj Vavilov si diploma nel 1911 all’Istituto Agrario di Mosca. Le sue esperienze di botanica in istituti sperimentali per la ricerca agricola lo portano, nel 1912, a stilare uno studio all’avanguardia sulla genetica e l’agronomia per migliorare i caratteri e le qualità delle piante coltivate. I viaggi che compie all’estero in laboratori specializzati, tra il 1913 e il 1915, completano la sua formazione. In particolare le attività svolte insieme a William Bateson (coniatore del termine “genetica”) e John Innes, oltre agli esperimenti coordinati dal professor Rowland Biffen nella scuola di Agricoltura di Cambridge (dove egli ha anche modo di consultare la biblioteca personale di Darwin), gli confermeranno la validità della sua ricerca, affinando i principi guida per decodificare e applicare quelle leggi della genetica atte a migliorare la resa e la qualità delle piante, ben oltre i limiti stabiliti dai sistemi tradizionali. Vavilov ragionava però come agronomo e voleva utilizzare tali metodi per sanare il caos agricolo che perdurava in Russia dopo la rivoluzione: un tempo granaio d’Europa, la Russia viveva allora in una condizione di anarchia e le carestie privavano le persone delle risorse alimentari di base. I caratteri dei vegetali, che lui aveva in mente, dovevano unire tutte le virtù delle piante allora coltivate in termini di resa, resistenza alle malattie e qualità del raccolto, insomma “super piante” in grado di crescere in qualsiasi ambiente, e quindi di porre fine alla fame nel mondo: per coniugare tutte queste qualità Vavilov aveva bisogno di semi per costituire un “database genetico”. Fu una ricerca faraonica, che lo portò, in 25 anni, a un vero e proprio archivio di tesori vegetali alimentari del mondo. Nel 1916 Nikolaj ebbe modo di viaggiare in Iran: la sua missione ufficiale era scoprire le cause dell’avvelenamento di alcuni soldati in servizio, ma risolto rapidamente il caso, rilevando che il grano del pane dei soldati era infetto da Fusarium, riuscì a visitare il paese e le zone limitrofe del Turkmenistan e Tajikistan, dove trovò migliaia di campioni di varietà di semi quasi sconosciuti, che costituirono la prima porzione della sua collezione. Ma per il suo progetto le varietà reperite dal viaggio in Iran non bastavano: dal 1920, anno in cui assunse la direzione dell’Ufficio di Botanica Applicata a San Pietroburgo, organizzò oltre 100 spedizioni in tutte le aree significative per l’agricoltura. Furono oltre 60 i paesi visitati in dieci anni, così da riuscire a raccogliere e catalogare, insieme a suoi collaboratori, oltre 50.000 varietà di piante edibili e 31.000 di cereali (in particolare grano). In questi anni egli tracciò una sorta di mappa per le piante agricole, redatta in “Origine, variazione, immunità e incrocio delle piante coltivate” in cui dichiarava che, la zona di maggiore varietà di una specie era anche il suo luogo di origine, riconoscendo piccole aree dell’Asia, Africa, Mediterraneo, Centro e Sud America, come centri nevralgici di addomesticamento, selezione ed evoluzione di piante selvatiche in piante agricole. Questa mappatura venne poi nel tempo modificata ma, l’aver per primo definito tali aree, resta uno dei grandi meriti scientifici di Vavilov. Una volta campionati, i semi venivano conservati nel bunker sotto il suo istituto a San Pietroburgo. Nikolaj considerava il seme una risorsa genetica fondamentale, la cui vita, come un libro, preservava e proteggeva la sua storia. La collezione che riuscì a creare era una vera e propria libreria della vita o, come verrebbe considerata oggi, una Banca del Seme: da questo esempio, nasceranno molti laboratori nel mondo preposti alla conservazione del germoplasma. Avere così tante varietà disponibili era la base per ricombinare i caratteri genetici delle piante, e ottenere nuove cultivar in maniera molto più raffinata e precisa. Le nuove piante vennero coltivate in stazioni sperimentali sparpagliate per tutto il territorio russo. Nikolaj fu aiutato anche da Lenin che, credendo molto nel suo progetto, lo nominò direttore dei più prestigiosi istituti fra cui l’Accademia di Lenin di Scienze Agrarie. In pochi anni, Vavilov riuscì ad ottenere risultati incredibili, ma la gente soffriva la fame e le soluzioni offerte dalla sua visione tardavano ad attuarsi: «la vita è breve, bisogna affrettarsi!» si ripeteva Nikolaj. Lo scenario cambiò radicalmente con l’avvento, nel 1929, della dittatura di Josif Stalin: l’eccellente lavoro scientifico di Vavilov, condiviso con genetisti di tutto il mondo, fu purtroppo rapidamente scalzato via da questo capovolgimento nella gestione statale sovietica. Lo scontro con lo scienziato di regime Trofim Lysenko, suo acerrimo nemico e invidioso dei suoi risultati, divenne inevitabile. L’adesione alla genetica classica, che si richiamava a Mendel, non era vista di buon occhio dal nuovo regime, ma considerata pura fantasia: inoltre il susseguirsi di annate disastrose per l’agricoltura russa, fornirono il pretesto per mettere Vavilov sotto accusa. Il Congresso Internazionale di Genetica del 1937, che si sarebbe dovuto tenere a Mosca in virtù dei progressi compiuti dalla genetica sovietica con Vavilov, fu così annullato. Il 10 Agosto 1940 Nikolaj Vavilov venne arrestato in Ucraina dalla polizia segreta di Stalin: i suoi manoscritti, appunti e progetti confiscati o dati alle fiamme, i suoi più stretti collaboratori sparirono o vennero uccisi.
Mesi di torture e interrogatori brutali non strapparono a Vavilov il dinego del suo lavoro. Nel luglio del 1941, il Tribunale Supremo del Collegio Militare condanna a morte Vavilov, con l’accusa di spionaggio e sabotaggio.La condanna non venne subito eseguita e, nel 1942, anche per effetto della nomina come membro straniero della Royal Society di Londra, venne commutata in pena detentiva di venti anni.
La prigione equivaleva comunque a morte certa, date le condizioni di detenzione: senza lavarsi o poter uscire dalla sua piccola cella, nutrito con cibo scadente, Vavilov stentava a sopravvivere. Le stazioni sperimentali poste a sud, furono depredate durante l’assalto nazista. Anche la collezione dei suoi semi, giunta a oltre 250.000 varietà, corse un grave pericolo: la volevano i botanici e i genetisti tedeschi per risolvere i problemi agricoli della Germania nazista, ma anche la popolazione russa affamata e stremata dai 900 giorni di assedio di Leningrado. Era il 1943, i collaboratori di Vavilov, barricati nel caveau segreto dell’Istituto di Botanica, preferirono morire di fame piuttosto che cibarsi dei semi che erano stati loro affidati. Di nove scienziati, sette perirono di fame senza privare di un solo seme la collezione: l’esperto di arachidi Alexander Stchukin muore nel 1942, seguito dal tecnico di piante medicinali Georgi Kriyer e dal capo della sezione dedicata al riso Dimitri Ivanov; anche Liliya Rodina, M. Steheglov, G. Kovalesky, N. Leontjevsky, A. Malygina e A. Korzum, muoiono eroicamente. Come ci racconta Gary Paul Nabhan in “Where Our Food Comes From”, il loro sacrificio non sarà vano: «Uno di loro disse che mentre svegliarsi, alzarsi e vestirsi al mattino era difficile, proteggere i semi non lo era, una volta che ci si fosse convinti a farlo. Salvare quei semi per le generazioni future e aiutare il mondo a riprendersi dopo la guerra era molto più importante del disagio di una singola persona».
I semi trovarono un luogo sicuro fra gli Urali, trasportati in gran segreto prima della fine dell’assedio, lungo il corridoio apertosi presso il lago ghiacciato di Ladoga, oggi riconosciuta come “strada della vita”. La vita di Nikolaj Vavilov si spense invece il 26 gennaio 1943. Dopo essersi cibato per più di un anno con cavolo gelato e farina rancida, morì di inedia nella prigione di Saratov, ove venne seppellito in una fossa comune. Con lui e i suoi colleghi tramontò l’era d’oro della genetica vegetale russa.
Lo scienziato sognava un futuro utopico, nel quale nuove pratiche e conoscenze agricole nascevano da esigenze concrete, frutto di viaggi e scambi con contadini e terre di tutto il mondo. Vavilov come uomo ascoltava realmente gli agricoltori, e proponeva una strategia efficace, d’integrazione e allo stesso tempo rispetto delle differenze. Rendendosi conto di quanto la diversità dei semi fosse importante per la sopravvivenza dell’uomo, sacrificò la sua vita per mettere a punto strumenti validi per preservare e migliorare la biodiversità. Nel 1955 il lavoro di Vavilov venne totalmente riabilitato da parte governativa, il riconoscimento dell’infondatezza delle accuse non riportò in vita l’uomo, ma a lui venne dedicato l’istituto che diresse per tanti anni e che oggi annovera oltre 300.000 varietà di piante commestibili e rappresenta il 10% del patrimonio agricolo delle piante coltivate.
Grazie per la segnalazione, Francesco!http://customessaywrtsrv.com/
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