La signora degli alberi
«Fino a che non si scava un buco, si pianta un albero, si innaffia e si fa sopravvivere, non si è fatto nulla. Si sta solo parlando».
Wangari Muta Maathai, nasce il 1 aprile del 1940, terza di sei figli e prima femmina, nel piccolo villaggio di Ihite, nella regione montuosa centrale del Kenya britannico. Si trattava di una zona assai rigogliosa, verde e fertile, con stagioni regolari e piogge monsoniche che garantivano abbondanza di acqua potabile ovunque. La sua famiglia faceva parte della comunità dei Kikuyu, uno dei 42 gruppi etnici del Kenya, che vivevano dei frutti della terra, allevando bestiame , capre e pecore. Per i Kikuyu il Monte Kenya, che essi chiamavano “Kirinyaga” o “luogo della lucentezza”, era un luogo sacro e tutto ciò che era propizio proveniva da lì: le piogge, i fiumi, i ruscelli, l’acqua potabile. Le loro preghiere, i loro sacrifici e le loro abitazioni si rivolgevano in quella direzione: credevano, infatti, che finché la montagna fosse stata lì, non avrebbero avuto bisogno di nulla. Alla nascita di Wangari, le tradizioni e le varie credenze si stavano irrimediabilmente spegnendo. Infatti, alla fine del XVIII secolo, i missionari europei erano giunti sugli altipiani centrali, insegnando agli abitanti del luogo che Dio non dimorava sul monte ma in paradiso, e che il posto adeguato per adorarlo era la Chiesa alla domenica, concetto del tutto estraneo ai Kikuyu. Nel giro di generazioni si aprì una vasta conversione. Poco dopo i missionari, arrivarono i commercianti e gli amministratori, che introdussero nuovi metodi per sfruttare le risorse del territorio e si cominciò ad abbattere alberi, ad eliminare le foreste per sostituirle con le piantagioni di tè e caffè, a cacciare gli animali selvatici, e l’agricoltura divenne estensiva. Nel 1885, la Gran Bretagna e le altre potenze europee si erano riunite al Congresso di Berlino, per formalizzare quella che fu definita “Scramble for Africa”, ovvero la corsa alla spartizione del continente africano, e delle sue ricchezze, che sarebbe durata oltre trent’anni. Nel 1940, quando nasce Wangari, già la conversione al cristianesimo era per larga parte avvenuta, così come un profondo cambiamento in quella che era la cultura locale. A causa della monetizzazione dell’economia da parte degli inglesi, il padre di Wangari, così come gli uomini della sua generazione, fu costretto a lasciare il suo villaggio per andare a lavorare nella fattoria di un colono inglese, dove svolgeva mansioni di autista e meccanico. La famiglia lo raggiunse quando Wangari aveva 3 anni, e lì, nella Rift Valley, rimase fino al 1947 quando la madre decise di ritrasferirsi vicino alla natia Ihite, a Nyeri, a casa di uno zio. Nelle fattorie dei coloni inglesi, non era possibile per i bambini dei lavoranti andare a scuola, perché non ve ne erano, così che fino ad allora Wangari non aveva avuto possibilità di frequentarne una. La bambina, con passione e dedizione, seguiva la madre nel lavoro dei campi, e i fratelli a governare il gregge: la sua occupazione principale, vista la sua statura, era raccogliere i fiori del piretro, un prodotto di punta del commercio inglese. A Nyeri però, comincia a frequentare la scuola di paglia e fango, e impara a leggere e scrivere. Ciò nonostante, il suo amore per le piante e la natura, si fa sempre più vivido, e la madre le affida un angolo della sua terra di circa 5m², dove Wangari inizia a seminare patate, fagioli, mais e miglio. Coltivare era per lei molto stimolante ed anche soddisfacente visto la produttività di quei territori. Purtroppo, il governo coloniale aveva già dato avvio a una politica di deforestazione per stabilire nuove piantagioni commerciali di alberi non locali: pini, eucalipti e acacie nere, che crebbero forti e in poco tempo, contribuendo allo sviluppo dell’emergente industria del legno e dell’edilizia. Inoltre, per rendere più popolari queste nuove specie, furono regalate pianticelle agli agricoltori che le sostituirono con entusiasmo a quelle locali, convinti dal loro valore commerciale. Questi alberi rappresentarono un grave danno per l’ambiente perché, eliminando le piante e gli animali endemici, si avviò la distruzione dell’ecosistema naturale. Nei decenni successivi i livelli delle falde acquifere diminuirono considerevolmente e, alla fine, fiumi e ruscelli si prosciugarono o ridussero notevolmente la loro portata. Questo processo accade sotto gli occhi della giovane Wangari che, ad 11 anni comincia le scuole medie di Santa Cecilia, un collegio gestito dalle suore missionarie italiane, dove risiede per i successivi quattro anni, dando forma a quella che poi sarebbe stata la sua strada. Durante questo periodo al Santa Cecilia, scoppia la ribellione dei Mau Mau, organizzata dalle comunità kikuyu, meru e embu, contro il governo inglese, per rivendicare tre questioni: la terra, la libertà, e l’autogoverno. Sono anni difficili per il paese, di violenze e dure repressioni che toccano quasi tutte le famiglie kikuyu. Wangari, in collegio è al sicuro e, con le sue compagne, quasi si trova a “tifare” per gli invasori, tanto si era insinuata la propaganda inglese nelle menti delle giovani studentesse. Ciononostante, si ritrova ella stessa in un campo di detenzione, arrestata dai militari mentre si recava a trovare il padre: fortunatamente furono solo due giorni, ma l’indigenza e la sofferenza che vi riscontrò fu tale, che segnarono profondamente la sua vita. Gli studi di Wangari, nonostante la guerra civile che si combatteva nel paese, continuano e nel 1956 inizia a frequentare il liceo Nostra Signora di Loreto, a Limuro, appena fuori Nairobi. Anche questo era un istituto cattolico, in cui vigeva la regola di comunicare solo in inglese. Qui, grazie anche all’incoraggiamento di un’insegnante, nasce in lei l’interesse per le scienze, la chimica e poi la biologia, e con l’approssimarsi del diploma, si concretizza il desiderio di continuare gli studi e frequentare l’università. Grazie al programma “Ponte aereo Kennedy”, che forniva una borsa di studio ai migliori studenti africani, ha inizio l’avventura americana di Wangari, che viene selezionata per studiare al St. Scholastica College, in Kansas, che prosegue poi all’Università di Pittsburgh dove si laurea in biologia. Nel 1965, mentre stava per concludere gli studi, il nuovo governo del Kenya, che aveva raggiunto l’indipendenza da quasi due anni, nel tentativo di reclutare personale per ricoprire le posizioni lasciate scoperte dai burocrati inglesi, invia funzionari negli Stati Uniti, a ricercare i giovani africani in procinto di laurearsi. A Wangari fu offerta la possibilità di ritornare in Kenya come assistente ad un docente di zoologia all’università di Nairobi. Purtroppo, al grande entusiasmo iniziale per quella che sembrava essere la sua prima vera proposta di lavoro, seguì una grande delusione quando, nel 1966, presentatasi all’Università di Nairobi, il docente a cui avrebbe dovuto fare da assistente la informò che il suo posto era stato assegnato ad un altro: uomo, e appartenente alla sua stessa comunità etnica. La barriera etnica e sessista si contrapponeva tra lei e la sua realizzazione. Riesce comunque ad ottenere un posto come assistente al dipartimento di anatomia veterinaria, e successivamente un dottorato di ricerca per il quale era richiesto l’uso del microscopio elettronico, che la porterà, per concludere la sua tesi, in Germania, all’Università di Giessen e Monaco. Nel 1969, Wangari torna a Nairobi, e si sposa con Mwangi Mathai, uomo di successo e interessato alla carriera politica, con cui genererà tre figli. Nel 1971 ottiene il dottorato, nel 1974 viene nominata docente di anatomia (del cui dipartimento ottiene la presidenza due anni dopo), e nel 1977 diventa professore associato. Fu la prima donna a raggiungere tali posizioni. All’interno dell’ambiente accademico porta avanti battaglie contro le discriminazioni salariali subite dalle docenti donne e dal personale di sesso femminile, retribuite meno dei colleghi maschi e trattate con disparità. Nei primi anni Settanta, aderisce anche numerose organizzazioni civiche, tra cui la Croce Rossa, il Consiglio Nazionale delle Donne del Kenya (NCWK), e come rappresentate delle universitarie entra nell’Environmental Liasion Centre, che promuove la partecipazione delle organizzazioni non governative al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP). Ad un seminario dell’ NCWK, una ricercatrice presenta i risultati di un suo studio, secondo cui i bambini della regione centrale del Kenya soffrivano di malnutrizione. Per Wangari, che proveniva da quella zona, che sapeva essere una delle più fertili del Paese, fu un duro colpo. Molti agricoltori del posto, avevano convertito le loro colture in piantagioni di tè e caffè da vendere sul mercato internazionale: questi raccolti “monetizzabili” occupavano terreni che prima erano destinati alla produzione di cibo per gli abitanti del luogo. Le donne si ritrovavano così a sfamare la famiglia con alimenti raffinati come pane bianco, riso brillato e farina di mais, pratici da cuocere e che richiedevano poco dispendio di fuoco, cosa che li rendeva estremamente allettanti visto la scarsità di legna da ardere dovuta al disboscamento della regione. La risposta più semplice al problema della fame e del degrado ambientale parve chiara a Wangari: piantare alberi. Questi, avrebbero fornito legna da ardere alle donne per cucinare cibi più nutrienti, offerto ombra a uomini e animali, protezione ai bacini idrografici e compattato il terreno. Il marito, nel frattempo, vince le elezioni e diventa membro del Parlamento. Wangari, per aiutarlo a mantenere la promessa di nuovi posti di lavoro, della quale egli sembra non preoccuparsi più una volta eletto, avvia un progetto commerciale, l’Envirocare che cerca di coinvolgere le persone che vivevano nella parte più povera del collegio elettorale di Mwangi, nella piantumazione di arboscelli e nel ripristino delle zone verdi comuni, con tanto di creazione di vivai e vendita di piantine. Il progetto però ha breve vita, nessuno comprava alberi, i benestanti non gradivano di avere poveri a lavorare nei loro quartieri e giardini, e nessuno pagava in anticipo il lavoranti così che Wangari doveva pagare di tasca sua: nemmeno il marito la appoggiava! Tuttavia l’intenzione di piantare alberi non era stata abbandonata dalla donna e, il 5 giugno del 1977, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, al grido di “Save the Land Harambee” (salviamo la terra tutti insieme, harambee in swahili significa “tiriamo tutti insieme”), con altre colleghe del Consiglio Nazionale, pianta sette alberi in un parco fuori città. È l’inizio del Movimento delle Cinture Verdi (Green Belt Movment) che, lentamente, si diffonde sempre di più tra le comunità keniote tanto che le guardie forestali, che inizialmente fornivano alle donne e ai contadini le piantine (pagate dall’NCWK al Ministero delle Foreste) non riescono più ad esaudire la richiesta, e iniziano a nascere vivai nelle fattorie e nei terreni pubblici di tutto il paese. Dopo un periodo di fornitura dei semi da parte dell’organizzazione, che però rendeva troppo dipendenti le donne, si invitano quest’ultime a raccoglierli nelle foreste e nei campi delle loro zone. Per ogni piantina che riuscivano a far crescere e mettere a dimora, il movimento le ricompensava con una piccola cifra, che era per loro di grande stimolo. Dopo aver piantato gli arboscelli nella propria terra, le donne si recavano nelle fattorie vicine per convincere gli altri a fare altrettanto. Intanto naufraga il matrimonio tra Wangari e Mwangi e nel 1979, lui la porta in tribunale accusandola di adulterio (allora il divorzio veniva accordato solo in caso di violenza, adulterio e pazzia). In realtà, l’uomo, sotto i riflettori per il suo ruolo politico, mal sopportava l’emancipazione culturale della moglie, la quale, in quanto “donna istruita” non era ben vista dalla società maschilista keniota. Le conseguenze della causa di divorzio sono disastrose e Wangari finisce in carcere, per oltraggio alla corte. Fortunatamente riesce ad uscire dopo qualche giorno, ma è chiaro in lei di essere stata usata come “avvertimento” per tutte quelle donne che osavano contestare il marito o l’autorità maschile. Tutto ciò la motiva fortemente e si candida per il Parlamento, pronta a far sentire la sua voce: non solo la sua candidatura non viene accettata ma perde anche il lavoro all’Università. Si dedica quindi totalmente alla causa del Green Belt Movement, e con il progressivo aumento degli sforzi delle donne e delle comunità, incoraggia gli attivisti a piantare gli alberi in file di almeno un migliaio, per formare cinture verdi che ripristinassero il manto verde della terra. «Un simbolo di Pace», spiegherà la Maathai, contro il degrado ambientale, ma anche contro la corruzione e il “tribalismo” del partito unico di Moi, presidente del Kenya dal 1978 al 2002. Nel 1981, il movimento riceve i primi contributi sostanziosi dal Fondo volontario dell’ONU per le donne, seguiti poi da sovvenzioni di altre ONG straniere. Nel 1985, il terzo vertice delle Nazioni Unite sulle Donne si tiene a Nairobi; ne nasce il Pan African Green Belt Network che in quindici paesi combatte la desertificazione, la siccità e la fame. Il risultato è una cinta verde di quasi 30 milioni di alberi che attraversa l’Africa subsahariana. Mentre Wangari colleziona premi internazionali, la sua popolarità cresce e il movimento si trasforma diventando strumento di lotta anche per la democrazia, l’ uguaglianza, i diritti umani e civili, la libertà di espressione e, più tardi, la cancellazione del debito estero dei paesi più poveri. Gli attivisti occupano le terre pubbliche cedute illegalmente a società straniere, i campi da golf costruiti per gli amici del presidente, e “liberano” il Parco Uhuru, al centro di Nairobi, dove il governo intendeva costruire un grattacielo e farne la sede del proprio partito. Le campagne di diffamazione, gli arresti e i processi, per Wangari e i militanti del Green Belt Movement, si moltiplicano, ma nonostante ciò si continua a distribuire semi, a creare vivai, e a piantare alberi. La lotta non violenta del Movimento trova l’appoggio e la protezione dei governi stranieri: il vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, chiede la liberazione delle prigioniere del Green Belt Movement pena la sospensione degli aiuti bilaterali americani. Nel 2002, il Kenya torna finalmente alle urne. Wangari Maathai – con una “a” in più poiché il marito le ha vietato di usare il cognome da sposata – si presenta alle elezioni vincendo nella sua circoscrizione con il 98% dei voti; il nuovo presidente Mwai Kibaki, la nomina vice ministro per l’Ambiente e le Risorse Naturali, carica che ricoprirà fino al 2005. Nel 2004 fu insignita del Nobel per la Pace “per il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace”. Ciò non rappresentò per lei un traguardo, quanto uno stimolo in più per continuare a dare visibilità alla causa ambientale e sociale dell’Africa, anche in veste di Presidente del Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione africana. Il 26 settembre 2011, si spegne all’ospedale di Nairobi, all’età di 71 anni, dopo una lunga malattia. Ad oggi le donne coinvolte nel movimento fondato da Wangari hanno piantato oltre 40 milioni di alberi che «con il sole, un buon suolo e pioggia abbondante, sprofonderanno le radici del nostro futuro nella terra e un manto di speranza raggiungerà il cielo».